Incapace di perdere: un po' Zidane, un po' Buffon

Incapace di perdere: un po' Zidane, un po' Buffon

Si sa che i più grandi campioni sono spesso i peggiori perdenti. Serena Williams non è mai sfuggita da questa regola, pur riconoscendo spesso i meriti delle avversarie ma ritenendo quasi sempre le sconfitte come un affronto personale del destino. È la malattia di chi non si capacita che la propria superiorità sportiva venga messa in discussione e questo secondo lei, secondo loro deve andare anche oltre le regole. Quanto è successo nella finale degli Us Open non si era mai visto, anche se aveva avuto in passato delle avvisaglie: nel 2004 Serena perse contro la Capriati andando in tilt per una palla chiamata ingiustamente fuori, nel 2009 ci fu il fallo di piede dopo il quale minacciò la giudice di linea di cacciarle in gola la pallina. Per non parlare poi della semifinale persa con la Vinci nel 2015. L'altra sera, però, si è andati oltre. L'arbitro Ramos ha probabilmente mancato di sangue freddo, ma le tre ammonizioni date alla Williams nel secondo set una per un evidente coaching dalle tribune di Patrick Mouratoglu, uno per aver spaccato la racchetta e quello decisivo per essersi preso del «ladro» erano tutte sacrosante. E quindi lo erano il warning, il punto e poi il game perso che ha mandato la Osaka verso la vittoria. I Grandi come Serena però non accettano l'evidenza e le scuse puerili proferite in lacrime al supervisor chiamato durante il match («Io il coach non lo guardo», «io non ho mai imbrogliato in vita mia», «Ramos fa così perché sono una donna», «gli ho dato del ladro perché mi ha rubato un punto»), sono l'equivalente di una testata di Zidane all'ultima partita della carriera, è un campionario degli orrori che ricorda i fruttini e le patatine con cui avrebbe dovuto cibarsi in tribuna l'arbitro di Real-Juve, almeno secondo Gigi Buffon. L'arbitro colpevole di aver rovinato una storia già scritta con un rigore all'ultimo minuto, così come era già scritta quella di Serena, per Serena ovviamente (il lieto fine di uno Slam vinto dopo il rientro). Lei che alla fine ha piagnucolato un «avevo lavorato così tanto per questo momento» fino poi ad arrivare nel post partita ad incredibili e stucchevoli accuse di sessismo affermando di averlo fatto per le donne («I maschi fanno peggio ma nessuno li punisce: io lotto per i nostri diritti»). E invece Serena ha semplicemente sbagliato e non basta una maternità ed essere poi stata in lotta per la vita a giustificarla. Vedere la Osaka piangere e quasi scusarsi per aver vinto tra i buu del pubblico americano è stata una scena orribile.

Ed anche se a Naomi ha destinato un abbraccio e un sorriso, la Williams in evidente stato confusionale - ha tradito la sua grandezza, l'ammirazione di tanti e pure la sua piccola Alexis-Olympia. A cui un giorno, a mente fredda, si spera saprà spiegare gli errori del giorno in cui perse un torneo, la calma e un po' di se stessa.

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