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"Io, Cristoforo Colombo del fondo italiano e i miei 80 anni senza festa"

Con l'oro olimpico nel '68 beffò i re nordici. Oggi il via alla sua Marcialonga, domani il compleanno

"Io, Cristoforo Colombo del fondo italiano e i miei 80 anni senza festa"

Il boom del fondo nasce dalla vittoria di Franco Nones ai Giochi di Grenoble nel 1968. Per effetto di quell'impresa, tre anni dopo, nasce anche la Marcialonga, la tradizionale granfondo che vede la partecipazione di migliaia di sciatori della fatica. Oggi, però, per la prima volta, sulle nevi trentine il leggendario olimpionico non sarà ai bordi della pista ad ascoltare il fruscio degli sci sulla neve. «Sì, la vedrò da casa. È meglio così, è giusto rispettare le regole».

Nones, cominciò tutto con quell'oro?

«Da quel momento nacque lo sci di fondo italiano. Sì, si può dire che la mia vittoria fu un po' come la caduta di un muro e non fu una vittoria arrivata per caso».

Lei fu il primo a spezzare il monopolio dei nordici.

«Già, e ricordo bene quello che scrisse L'Equipe l'8 febbraio all'indomani della mia vittoria: Franco Nones, come Cristoforo Colombo, ha scoperto l'America».

Lei conquistò la medaglia d'oro nella 30 km. Ora Federico Pellegrino batte i nordici nello sprint.

«È difficile confrontare le due cose, quando vinsi io eravamo quattro... pellegrini che giravano con la valigia di cartone Adesso, invece, c'è tutta l'assistenza possibile. Cinquant'anni fa si gareggiava con un solo paio di sci e quando se ne rompeva uno si cambiava non lo sci, ma il paio. Un bel problema per la federazione».

Cosa successe dopo il trionfo?

«In quei Giochi, per la prima volta, furono introdotti i controlli antidoping: si può dire che sono stato un apripista anche in questo».

Si barava anche all'epoca?

«Ai miei tempi si gareggiava per pura passione, non c'erano contratti, non potevi fare pubblicità e se lo facevi ti squalificavano per professionismo. Mi sembra che non accada solo nello sport, ma si bara un po' dappertutto».

E cos'altro ricorda di quei Giochi?

«Più che altro un rimpianto. Feci l'errore di disputare la 15 anziché la 50 km. C'era tanta confusione quel giorno, anche se a vedere la mia gara c'erano solo 4 giornalisti, perché tutti erano andati a vedere le prove della discesa, neanche la gara. E poi tutti, dopo il mio trionfo, tornarono come le mosche e il caos mi tolse la concentrazione».

La pandemia ha steso l'attività sciistica.

«Io ho due alberghi e solo uno aperto qua a Cavalese, ma logicamente risentiamo tutti della crisi. Se si dovessero aprire gli impianti a metà febbraio, servirebbe a poco, perché se la gente non può spostarsi da regione a regione...».

Nei giorni in cui si discute se aprire Sanremo o gli stadi al pubblico, in una gara con tanti partecipanti non c'è il rischio di contagio?

«No, perché gli organizzatori hanno preso ogni precauzione facendo in modo che ci sia distanziamento fra gli atleti, tanto è vero che i binari saranno un metro e mezzo distanti in larghezza l'uno dall'altro. E poi si gareggerà all'aperto e non c'è contatto perché i rifornimenti saranno distanziati e ad ogni chilometro, non più ogni 200 metri. E poi, un conto è essere al teatro Ariston, al chiuso, un altro è essere in 70 km di percorso, per giunta senza pubblico».

Come festeggerà domani il suo 80esimo compleanno?

«A casa con mia moglie Inger. I miei figli, anche se vivono a duecento metri da noi non verranno. Gli ho detto che è meglio se ci salutiamo da lontano. Arriverà il tempo in cui potremo rincontrarci.

E poi se bisogna stare in casa con le mascherine, che festa sarebbe?».

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