Una squadra, nonostante tutto. Divisi dalla vita, ma un simbolo del tennis italiano. La Squadra, ora un film e una serie Tv che Sky lancia oggi: «Il film è molto bello. Chi ha già visto la serie mi ha detto che si è divertito come un pazzo. In effetti ci siamo divertiti». Paolo Bertolucci, oggi commentatore Tv, è stato l'alter ego dell'era Panatta, che poi era l'era dei 4 eroi della Davis '76. Insieme a Barazzutti e Zugarelli, con Paolo e Adriano in maglietta rossa contro il regime di Pinochet. Non volevano farli partire per il Cile, quel doppio diventò un simbolo: «Il bello è che qui se ne sono accorti 40 anni dopo. Allora nessun giornalista lo scrisse. Anzi no, uno: che giocavamo con la maglietta rossa, in una riga...».
Com'è stato rivedersi?
«Bello. Tante cose che avevo rimosso sono riaffiorate nella testa. Siamo ripartiti come allora: goliardate, scherzi. Oh: Tonino è rimasto lo stesso, invece quanto parla Barazzutti...».
Panatta-Bertolucci, praticamente uno slogan.
«Con Adriano non ci siamo sentiti per mesi, a volte per anni. E stavo benissimo... - ride - Poi, durante la pandemia, mi chiama dopo una vita: Oh Paolo, che fffai?. E io: Ma sei matto? Non possiamo uscire di casa. E lui: Ma io mi annoio: ci facciamo due spaghetti?. Abbiamo cucinato al telefono, poi son passati altri 4-5 mesi...».
Bello essere un mito?
«Non ce ne siamo quasi resi conto. Abbiamo fatto 4 finali di Davis in 5 anni, ma allora non c'erano i social e la tv...».
E la maglietta rossa?
«In Italia pensavano che fosse per la tv in bianco e nero. Non l'aveva capita nessuno. O forse avevano fatto finta...».
Eravate La Squadra senza essere amici.
«Il tennis è uno sport individuale, ma il sogno da ragazzini era vincere la Davis. Quando chiamava Mario Belardinelli, il responsabile tecnico federale, non ce n'era più per nessuno».
1997: Bertolucci capitano di Davis al posto di Panatta.
«Adriano non mi ha parlato per sei mesi. Ma la verità è che io non volevo. L'han fatto fuori per una lotta politica, ma a me della politica non mi è mai fregato nulla. Ero in vacanza in Sicilia, mi chiama il presidente regionale toscano: Paolo, sei il nuovo capitano. E io: Ma non ci penso neanche. La sera risuona il telefono, era Belardinelli: Vorresti lasciare i ragazzi da soli in semifinale?. E io: No, per carità. A Belardinelli non potevo dire di no».
Com'è finita?
«Ad Adriano gliel'ho spiegato dopo 6 mesi. E come i matrimoni: litighi, lasci sbollire, dormi, ne riparli a mente lucida».
Com'è il tennis oggi?
«I giocatori si divertono di meno, è evidente. Vanno in giro col team, lo spogliatoio è come andare in chiesa: noi ci entravamo come ragazzini a scuola. E poi ora c'è il player box...».
Quello con la claque.
«Quello. D'altronde son pagati, e bene. E se non mi inciti a ogni punto, ti caccio a pedate. Vorrei anche vedere che non glielo facciano l'applauso...».
Il rinascimento italiano?
«È un ciclo, godiamocelo. Dopo anni di tennis femminile, ora c'è il boom maschile. Succede. Qui a Roma non c'è un francese. In Spagna temevano il dopo Nadal e guarda invece...».
Alcaraz... Qualche dubbio?
«Proprio no, se non succede qualcosa di straordinario. Ha tutto: tecnica, fisico, testa».
E Sinner?
«Buonissimo! Però Alcaraz è più completo. Jannik è fenomenale di testa e di fisico, ma non ha la stessa potenza, forse anche la pesantezza di palla. E il gioco di volo e la smorzata...».
L'addio a Piatti?
«Io sinceramente pensavo lo lasciasse tra un paio d'anni, era un percorso naturale. Il problema è quando il coach si deve inserire in un gruppo».
Ovvero?
«Ovvero il manager ti vuole per uno shooting fotografico pagato, l'allenatore a tirare palline: che fai? Poi magari c'è pure la fidanzata a cui il coach sta sulle palle. E arrivano i dubbi».
E quindi?
«Piatti aveva in testa il suo percorso, mi auguro che Jannik abbia fatto la scelta giusta. Ha bisogno di tempo, la rete non è il suo habitat mentre per Alcaraz lo è. Ma d'altronde di numeri uno ce n'è uno solo».
E se Sinner non lo diventa?
«Eh, fuciliamolo. Alla gente che critica, vorrei ricordare che abbiamo avuto due tennisti nei primi 10. Ma quando mai?».
Per finire: cosa lasceranno Federer, Nadal e Djokovic?
«A me la sensazione di un periodo che non ci sarà mai più».
E voi quattro?
«Ero convinto che sullo slancio nostro ci
sarebbe stato il boom. Hanno sprecato tutto. D'altronde quando ci hanno nominati commendatore, i politici si sono vergognati di consegnarci la targa in presenza. Ce l'hanno spedita a casa. L'Italia, in fondo, è questa qui».
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