Pechino - Ha un cioccolatino in bocca, una tazza di the in mano e tutt'attorno lo avvolge il frastuono della musica techno. La sua voce giunge come un sussurro. Dice: «Quando stamane sono arrivato qui mi pareva di essere andato a ballare. Solo che di solito dalle discoteche tornavo all'una di notte, non ero abituato a entrarci alle otto del mattino Mi è sembrato di essere a Ibiza». A proposito: quand'è stata l'ultima volta che Jean Todt è andato a ballare? «Ah, non posso dirlo» risponde il presidente della Federazione automobilistica mondiale, la Fia, «sennò rischio che mia moglie mi sgridi». È sera, Jean Todt è felice e stremato. La sua ultima creatura, il neonato campionato di monoposto elettriche, la Formula E, ha debuttato qui a Pechino, nel cuore del parco olimpico, ed è stato un successo.
Come è venuta l'idea di associare alle silenziose e sibilanti monoposto in pista, la musica techno e house che ne accompagna prove e gara?
«Perché è un nuovo spettacolo. È collegato ai bisogni moderni e dunque c'è un misto di questioni molto serie come la mobilità elettrica, l'ambiente, le gare e anche il divertimento. È una nuova strada che si è aperta. È un momento storico per la Fia. E che il debutto sia avvenuto in Cina è per me importante e simbolico, pensando all'enorme crescita dell'automobile in questo Paese e all'inquinamento».
S'immaginava che la prima gara fosse così?
«È stata bella, sempre combattuta e con l'incidente spettacolare all'ultimo giro abbiamo avuto la prova che sono monoposto molto sicure».
C'erano delegati di tutte le Case giapponesi
«E c'erano quelli francesi, tedeschi, cinesi »
Italiani?
«Non ne ho visti».
E un Gp di Formula E a Roma?
«Mi dispiace si sia arenato tutto. Due anni fa avevo incontrato il sindaco dell'epoca (Alemanno, ndr ), e avevamo annunciato un Gp a Roma. Ma poi per un motivo o per un altro ».
Lo sa che con questa Ferrari ko, i tifosi dopo ogni Gp rimpiangono lei e Schumi? Ha nostalgia di quell'epoca?
«Ovviamente rappresenta un periodo molto importante della mia vita. Presi un rischio accettando l'incarico nel '93, ma lo prese, e grande, anche Montezemolo nello scegliere me. Alla fine sono rimasto 16 anni. Poi ho deciso di fare altro. È stato detto che mi ero fatto mandare via... Falso. Tornando alla nostalgia, è ovvio, la sento: in Ferrari, tutti assieme, abbiamo scritto una pagina unica dell'automobilismo».
A lei e Montezemolo erano state date le chiavi di un mito
«Sì, però appena arrivato mi trovai davanti un mito devastato».
Qualcuno dice simile ad oggi.
«E questi paragoni mi fanno sorridere. In Ferrari, ora, non serve mica molto per rimettere tutte le cose al loro posto. Non è assolutamente la situazione che ho trovato io quando arrivai nel 1993».
Alain Prost paragona questa Ferrari addirittura a quella disastrosa del suo ultimo anno, il 1991.
«Non sono d'accordo. Trovo ingiuste tutte queste critiche alla Ferrari di oggi. Quando Alonso si è fermato a Monza, non gli capitava da quanto? Era il pilota che fin lì aveva il record dei Gp conclusi sempre a punti. Dunque, senza mai un problema di affidabilità. Quando la presi in mano io il miracolo era che la macchina concludesse la corsa».
La sensazione è che prima del periodo Montezemolo-Todt la Rossa fosse solo una grande macchina. Poi è diventata un brand mondiale: dalle penne agli orologi, con negozi nelle vie del lusso
«Dimentica Abu Dhabi, il parco Ferrari Sì, tutto questo è partito con noi. E sta andando avanti, divenendo sempre più importante».
Montezemolo va via
«Non ancora, lo farà il 13 ottobre».
Come vede la vicenda Marchionne-Montezemolo, queste dimissioni forzate?
«Montezemolo è rimasto 23 anni alla Ferrari, è un periodo molto lungo. Ad un certo punto, nei grandi gruppi, è normale che accada. Visti i miei trascorsi a Maranello e la mia attuale posizione, sapevo che stava per succedere».
Le dispiace?
«È ovvio. Perché ci sono dei cicli che si chiudono. E ora c'è la nostalgia per un gruppo unito di uomini che pian piano nel tempo, per un motivo o per un altro, si è sciolto».
Forse servono la fortuna o l'abilità di lasciare al momento giusto.
«Io volevo lasciare Maranello a fine 2004, dopo l'ultimo mondiale di Michael. Avevo già promesso a Mosley (l'ex presidente Fia, ndr ) che mi sarei candidato. Poi in barca, a Capri, Montezemolo mi convinse a restare. Chiamammo Mosley insieme. È difficile la scelta di lasciare e del momento giusto per farlo. Soprattutto quando c'è questo attaccamento a un gruppo».
Alla fine in pochi riescono a fare un passo indietro da vincenti.
«E poi c'è sempre il destino... Per dire: nel 2004 Montezemolo doveva andare a Shanghai a un evento con una delega del governo italiano. Ma poi, ritrovandosi occupato a capo di Confindustria e della Fiat , alla fine quasi mi obbligò a sostituirlo. E lì incontrai mia moglie» (l'attrice malese Michelle Yeoh, ndr ).
Galeotto fu Montezemolo
«Certo, e lui me lo ricorda ogni volta. E questo dimostra quanto conti il destino».
In Italia i tifosi, ma non solo, hanno notato come lei sia subito stato vicino a Schumacher dopo l'incidente sugli sci. È volato via dall'Indonesia dove era in vacanza e si è trasferito per giorni a Grenoble. È stato l'unico del vecchio gruppo ferrarista.
«Se penso che nel '99, quando a Silverstone si ruppe la gamba, venni massacrato dalla critica perché avevo abbandonato il muretto dei box per seguirlo in ospedale Alla fine, ciò che più conta è sentirsi sempre a posto con la propria coscienza».
Un ex meccanico della squadra di Michael ha detto di recente: Todt ci spremeva
«Ci spremevamo a vicenda, tutti»
E ha aggiunto: però ci sentivamo protetti e pronti a tutto per lui.
«Tempo fa, a un festival di motori sulla pista di Goodwood, c'era un gruppo di meccanici e tecnici della Ferrari. Uno di loro mi è venuto incontro e si è messo a piangere. Nella vita si raccoglie ciò che si semina».
Possiamo sperare in un futuro per Michael?
«Possiamo sì sperare. Ma dobbiamo soprattutto pregare. Per un uomo unico. Per una famiglia unica».
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