Avremmo voluto corrergli incontro e abbracciarlo anche noi, l'altra sera quando il suo Uruguay, con i sigilli di Cavani, ha messo alla porta di Russia 2018 il Portogallo di Cristiano Ronaldo campione d'Europa in carica. Barcollando sì, ma senza mai cadere, su quella stampella che è l'immagine più autentica del suo coraggio leonino, Oscar Washington Tabarez è diventato la cartolina del mondiale. Che non riguarda solo il calcio e i suoi risultati rivoluzionari ma segnala lo spessore degli uomini e la lezione che a 71 anni compiuti da qualche mese può consegnare ancora uno che dalle sue parti chiamano, con rispetto assoluto, il maestro. Tabarez è afflitto da una neuropatia cronica che via via gli ha ridotto la possibilità di muoversi ma non gli ha impedito di restare ritto, appoggiato a quella stampella, e di continuare a fare il suo mestiere che è fatto di occhi vivissimi, di scelte ponderate, di consigli preziosi. C'è stato un tempo in cui, viaggiando su una macchinetta, si è temuto che Tabarez dovesse farsi da parte, ritirarsi e non partecipare al mondiale guadagnato sul campo. «Come fa ad andare in panchina con la macchinetta?» chiedevano i senza cuore.
E invece Tabarez ha parcheggiato in un garage la macchinetta che le quattro figlie gli avevano suggerito, ha adottato la stampella e ha cominciato la sua avventura in Russia. Prima di incrociare CR7 una sua frase ha fatto il giro del mondo e segnalato lo spessore dell'uomo. «Non perdo certo il sonno per lui», ha dettato sereno e sicuro. Per festeggiare le due gagliarde qualificazioni ha alzato un pugno e si è concesso all'abbraccio dei suoi assistenti che sono attenti a non travolgerlo.
C'è stato un tempo in cui, arrivando al Milan del dopo Capello, metà degli anni '90, Oscar Tabarez, segnalato da Ariedo Braida per l'eccellente lavoro fatto con il Cagliari, non venne accolto a Milanello con grande simpatia.
Una battuta di Silvio Berlusconi («Tabarez chi? Il cantante?») lo fulminò prima che potesse dimostrare la sua scienza calcistica e anche il suo feroce coraggio. In pochi mesi concluse la sua esperienza rossonera e per l'addio mantenne il tratto elegante del gentiluomo di Montevideo. Zero rancore, zero alibi, una sola frase: «Avrei voluto dare di più».
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