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Limardo, il campione olimpico che fa il rider. Senza sponsor così si "paga" un altro sogno

Consegna cibo al mattino: "Faccio 50km in bici, poi al pomeriggio mi alleno"

Limardo, il campione olimpico che fa il rider. Senza sponsor così si "paga" un altro sogno

C'è un uomo fermo sulla strada. Ha tra le mani una bici e un contenitore di cibo da asporto sulle spalle. A vederlo pedalare su e giù per le strade di odz, terza città polacca più popolosa, non si direbbe che otto anni fa è stato un campione olimpico. Ed invece, costui tra meno di un anno a Tokyo ha intenzione di ripetere l'impresa di Londra 2012. È la storia del venezuelano Rubén Dario Limardo Gascón, 35enne schermidore dal destino beffardo. Perché è passato dall'oro olimpico nella spada individuale ai Giochi londinesi al lavoro di rider, ad oltre nove mila chilometri dal Paese natìo. Lì dove è un eroe nazionale, da quando è diventato il secondo atleta nella storia del Venezuela a vincere un titolo olimpico dopo il pugile Francisco Rodriguez, oro a Messico '68.

Eppure, Rubén Limardo non si gode la fama da eroe. No, lui è finito in Polonia, dove per vivere ha iniziato a consegnare cibo come rider per Uber Eats. Tutto questo, mentre si allena per le Olimpiadi di Tokyo la prossima estate. Un appuntamento a cui non vuole mancare, lui che è ancora competitivo come dimostra l'argento iridato conquistato due anni fa.

Ma l'appuntamento a cui non può mancare, per il momento, è un altro: quello per la consegna. Alle volte, deve rispondere fino a dodici ordini al giorno. Ma Limardo non è un tipo che si lamenta. Anzi, si dice grato di avere un lavoro, perché così può permettersi di continuare a coltivare il sogno olimpico. Un sogno, tra l'altro, condiviso con altri 21 connazionali. Già perché la Nazionale di scherma venezuelana è in ritiro permanente in Polonia. Così come tanti altri campioni costretti a fuggire dal Venezuela. Colpa della crisi economica e umanitaria che colpisce il loro Paese, aggravata ora dalla pandemia da Coronavirus.

Significativo è il caso di Yulimar Rojas, due ori mondiali nel salto triplo, che si allena in Spagna. O del sollevatore Israel Rubio, bronzo ad Atene 2004, che lavora come operaio edile in Colombia. Oppure della squadra di acque libere emigrata in Bolivia che sopravvive vendendo pizze. Ai Giochi Panamericani di Lima, nel 2019, dopo che la fondista Paola Suárez ha sofferto di ipotermia per aver gareggiato in acque libere senza la muta da lei richiesta, è divampata la critica al governo di Nicolás Maduro per il mancato sostegno allo sport olimpico.

«Senza sponsor e senza rimborsi spese, dobbiamo inventarci qualcosa per tirare avanti e quello del rider spiega Limardo - è un lavoro come un altro. Non lo faccio solo io, ma praticamente tutti i miei compagni di squadra. Quanto pedalo? Una media di 50 km al giorno».

Insomma: quella di Limardo e compagni di squadra è una routine fatta di ritmi frenetici. Difatti, la nazionale venezuelana si allena cinque volte a settimana, sempre di mattina perché alle 13 c'è il cambio turno. Una doccia e via e si monta in bici. «Ogni volta che faccio una consegna dico a me stesso che anche questo mi aiuterà ad ottenere la medaglia che sogno di conquistare ai Giochi di Tokyo».

Rider e sognatore, l'incredibile destino dell'eroe.

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