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L'Inter va allo specchio. Squadra sopravvalutata e una dirigenza passiva

La terza eliminazione di fila fa riflettere sulla personalità dei giocatori e su chi li ha comprati

L'Inter va allo specchio. Squadra sopravvalutata e una dirigenza passiva

«Con me l'Inter non sarà pazza ma una squadra regolare e forte» il manifesto elettorale di Conte, nel senso di Antonio, faceva prevedere una svolta epocale, finalmente. Per i fedeli e cortigiani dell'allenatore ricordo che la pazza Inter ha l'argenteria carica di trofei, italiani, europei, mondiali e non era una comunità di recupero che abbisognasse di un lockdown per cambiare la propria storia. Ma così è stato, così è, la follia può essere una virtù se non diventa mania, esasperazione, ossessione. Manca un capo a questa Inter e non lo è il giovane presidente, sicuramente tifoso ma non con la personalità e il carisma indispensabili per guidare un gruppo con la tradizione storica del club nerazzurro. Manca una voce autorevole e perché no, autoritaria, una figura capace di intervenire nei confronti di un dipendente screanzato, non soltanto nei confronti della stampa e dei colleghi ma della stessa dirigenza.

L'Inter è passata dalla generosità, a volte eccessiva anche nei licenziamenti, del tifoso Moratti, sempre presente e forte di un cognome che ha costruito la leggenda nerazzurra confortata dai titoli, a una dirigenza passiva che nulla ha veramente a che fare con la realtà e l'ambiente e la tifoseria interiste. Se la squadra sembra un outlet di lusso, risultato dei capricci noti, è anche vero che esistono responsabilità di chi l'ha allestita e degli stessi attori in campo. L'Inter non merita di vivere una situazione come quella attuale, dopo aver sopportato altre vicende altrettanto complicate, dalle quali riteneva di poter fuggire con l'investimento multimilionario in un professionista certo.

Ma non basta uno chef cocciuto se non c'è il team, se non si fa squadra in tutti i settori della ditta, dalla presidenza al resto del management, alla comunicazione. E soprattutto non è opportuno che lo chef pensi che prima di lui il ristorante (uso sue metafore) fosse una bettola o una locanda. Non basta saltare e abbracciarsi a bordo campo, non basta riunirsi ad Appiano Gentile o in una villa del varesotto. L'Inter merita altro, l'Internazionale football club non può essere l'Internazionale Conte club. L'eliminazione dalla Champions, la seconda consecutiva, andava affrontata immediatamente con l'equilibrio che compete a un grande club e non liberando le paturnie di un allenatore (che andava invece preparato da chi di questo dovrebbe occuparsi) o nascondendosi dietro il silenzio o con le frasi di repertorio alla vigilia. L'Inter è forte ma non è regolare, dunque ha smentito lo spot di propaganda ma l'Inter non è finita la sera del pareggio con gli ucraini. Semmai è finita la missione ieratica di chi la gestisce e, insieme, l'avventura dirigenziale di chi non ha compreso del tutto che, nel football, non servono i soldi, i proclami elettorali, il curriculum o la fedeltà di alcuni dirigenti. Servono gli uomini, serve la competenza, serve l'unità di intenti, serve la coerenza. Questa è stata l'Inter.

Questo dovrà essere.

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