L' Italia torna sulla terra. Pianta i piedi sul terreno afoso di Recife e si ferma. Sconfitta dalla Costa Rica. Non è vero che siamo al livello della Corea del '66. Non siamo neanche al pareggio contro la Nuova Zelanda del 2010.
Questa sconfitta è qualcosa di meno e qualcosa di più: di meno perché gli avversari, questi avversari, non sono scarsi come quelli di 48 anni fa e di 4 anni fa; di più perché a differenza di quelle altre due partite dove arrivavamo tra lo scetticismo e le maledizioni, qui sembravamo forti, sicuri, certi, tranquilli. La Costa Rica azzera le nostre certezze, costruite durante e dopo la vittoria contro l'Inghilterra. Eravamo esaltati, ora siamo depressi. È come ricominciare dall'inizio, dalla stessa domanda che precedeva l'avvio del Mondiale: chi siamo? Dieci giorni fa era generica, oggi è specifica: siamo quelli convincenti, carichi, convinti, fisicamente a posto dell'esordio? O siamo questi: scarichi, preoccupati, fisicamente bolliti?
C'è un Paese deluso più per le aspettative create dopo la partita di Manaus che per reale convinzione di poter andare avanti. Siamo a un momento ricorrente nella storia dei nostri Mondiali, anche di quelli che poi abbiamo vinto: dobbiamo prenderci la qualificazione all'ultimo secondo quindi all'ultima partita. Sappiamo che nell'82 ci qualificammo addirittura per la differenza reti. Nel 1994 passammo agli ottavi come peggiore delle terze del girone che si qualificavano (con le regole di oggi saremmo usciti al primo turno), salvo poi arrivare in finale perdendola soltanto ai rigori col Brasile. Nel 2006 dopo la vittoria con il Ghana all'esordio ci complicammo la vita contro gli Stati Uniti, cosa che ci costrinse a vincere contro la Repubblica Ceca per passare il turno e farlo da primi del girone.
Adesso siamo allo stesso punto, con una difficoltà in più: ci basterebbe anche pareggiare con l'Uruguay martedì prossimo, ma le possibilità di arrivare primi dipendono da una serie di coincidenze: dobbiamo vincere noi con almeno due gol di scarto, l'Inghilterra (già eliminata) deve vincere contro la Costa Rica con due gol di scarto. In tutti gli altri casi di pareggio o vittoria nostre arriviamo secondi nel girone, il che vuol dire finire nella zona del tabellone del Brasile.
Non c'è niente di più ricorrente dei calcoli come questi nelle vicende della Nazionale. Una specie di attrazione per le difficoltà e le cose complicate alla quale non riusciamo a resistere. Pareggiare con la Costa Rica all'inizio del Mondiale ci sembrava un insulto, ieri è sembrato un miraggio irraggiungibile, così irraggiungibile che non l'abbiamo appunto raggiunto. È questo tornare sulla terra: smontarsi dalle convinzioni, rimettere in discussione tutto, sapendo che non è finita. Questo Mondiale ha già fatto fuori la Spagna e l'Inghilterra: né l'una né l'altra ne hanno fatto una tragedia. Ieri la stampa tabloid britannica ironizzava sugli stessi calcoli che facciamo noi adesso. In prima pagina, il Sun ha pubblicato una foto del figlio di Rooney piangente. E poi ha scritto: «Non piangere Kay. Se l'Italia batte la Costa Rica, se Suarez & Co perdono con l'Italia e tuo padre segna almeno un paio di gol contro la Costa Rica, siamo ancora dentro». L'ironia è servita zero, l'Inghilterra l'abbiamo eliminata noi battendola e poi perdendo ieri. Loro non ne fanno una tragedia, non facciamola noi. Il nostro Mondiale non è finito. C'è la partita di martedì, contro l'Uruguay.
C'è quel ritorno costante al dentro o fuori, al risultato da conquistare all'ultimo minuto, c'è tutta la retorica banale, ma vera, di un Paese e del suo specchio calcistico che ha fatto dell'ultima spiaggia uno stile di vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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