nostro inviato a Rio de Janeiro
Per battere una maledizione bisogna fare un'impresa e l'Italia nel volley si è regalata una vittoria che è un romanzo riscritto più volte: è finita 3-2 contro gli Usa una semifinale vinta, persa e poi rivinta di nuovo, è finita con i giocatori a terra stremati e in lacrime, dopo aver dato tutto. È finita nel delirio del Maracanazinho, da ieri il nostro tempio della pallavolo: e ora ci giocheremo quell'oro che ci è sempre sfuggito, il nostro tabù.
Il volley maschile è una sorta di esibizione di machismo intelligente nella quale i dettagli contano. Così alla vigilia si diceva che l'Italia avrebbe dovuto evitare i troppi errori in battuta per non lasciar spazio alla prepotenza americana, ma l'inizio invece è tutto alla rovescia perché mentre dall'altra parte della rete arrivano ace, gli azzurri mettono troppo spesso in rete la palla. L'assenza al centro di Piano infortunatosi durante i Giochi e spettatore a bordo campo - è ovviamente un handicap, bisogna dunque contare sulla potenza di Zaytsev, Birarelli e Juantorena e sulla regia del baby fenomeno Giannelli per cercare una rimonta nel primo set che presto sembra diventare impossibile. In questi casi lo sguardo corre alla panchina per trovare la scossa, ma coach Blengini non è uno di quei tecnici modello santone pronto a dare in escandescenze. Cammina tranquillo braccia conserte, scomponendosi solo per qualche consiglio: ha fatto sempre così da quando ha raccolto un'Italia sbriciolata da litigi e correnti, riportandola in meno di un anno a giocare per la gloria. Ha funzionato, funziona, perché sotto di sei gli azzurri si ritrovano invece sul 23 pari scatenando il Maracanazinho, dove italiani e brasiliani tifano tutti dalla stessa parte. Una vera torcida.
Si va quindi ai vantaggi in pieno delirio agonistico, gli Usa hanno cinque set point, sul 28 pari una palla toccata da Lee prima di uscire scatena il putiferio: gli arbitri assegnano il punto agli Usa, gli azzurri protestano, gli americani fanno la faccia birichina, il giudice di linea si fa coraggio. Punto nostro insomma e primo set. È trance agonistica, che continua anche nel secondo set in cui l'Italia sembra prendere in mano tutte le sue certezze con Zaytsev in pieno furore. Gli Usa barcollano, perché cominciano a sbagliare battute e qualche scelta. Barcollano ma non mollano, e quando Zaytsev e Juantorena si prendono in faccia tre muri di fila, il match si ribalta ed è una botta tremenda: il muro americano diventa una montagna da superare e l'audio da discoteca che sottolinea i monster block un vero tormentone. La palla insomma torna sempre indietro, le cose facili diventano complicate, il terzo parziale così è una discesa all'inferno, il tabellone non mente: è 25-9 con 15 punti di fila (roba mai vista). Uno choc, due a uno per loro e quando gli Usa vanno a +3 nel quarto set sembra finita. D'altronde i ragazzoni Usa sono più o meno tutti passati dal nostro campionato, quattro di loro ci sono ancora adesso, e sanno come metterci in confusione. E l'Italia in effetti è in confusione, quasi definitiva.
Ma noi abbiamo Zaytsev in versione monumento, perché i campioni non si rassegnano all'inevitabile, si ribellano al momento giusto: tre ace di fila, con uno che pizzica la riga, ed è 25-22, praticamente un miracolo. È tie-break e a quel punto non ci ferma più nessuno: si comincia punto a punto, si finisce con l'apoteosi, cuore oltre la rete, un lungo brivido.
Il break definitivo è del solito terribile Ivan, il muro americano si sgretola definitivamente e il 15-9 viene fissato da un Buti in estasi. Tutti a terra a piangere in campo, tutti in piedi a esultare in tribuna: è vittoria, è medaglia. Maledizione aspettaci: siamo pronti.
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