LONDRA 2012

nostro inviato a Londra


Piange di nuovo, Andy Murray. Un mese fa triste, oggi felice. Piange nello stesso posto, nello stesso campo. È l'inversione del destino: vince a Wimbledon senza che il suo nome entri tra i vincitori di Wimbledon. Oro a lui e alla Gran Bretagna. L'Union Jack piantata sull'erba del tennis. Battuto Federer padrone eterno di questi campi. Non oggi. Perché Londra mette la spada sulla spalla di questo ragazzo scozzese che fa la partita perfetta. Quella che avrebbe voluto fare a luglio, contro lo stesso avversario. Sai che c'è Andy? Chissenefrega. Non c'è neanche bisogno di sforzarsi per essere felice. Questo oro vale. La prima vittoria vera nella sua carriera per lui che le finali di solito le perde. Perché è ancora debole di testa, scrivono i suoi critici. Sì, non è Federer. Però ieri se l'è mangiato: Roger piccolo come raramente gli accade. Murray no: un colpo dietro l'altro, uno più preciso dell'altro. E a ogni giro un come on urlato al suo pubblico. Tutto per lui, stavolta. Perché questo Wimbledon Due è diverso dall'originale: non è solo il total white accantonato con il disgusto dei puristi, non è neanche il ceto degli spettatori. È che il Centrale ieri era una dependance dello stadio olimpico. Ogni punto di Andy un applauso urlato: «Go Murray». Si esulta agli errori di Federer, cosa inaudita nel Wimbledon vero; sventolano le bandiere durante i game, piangono i bambini, scattano i flash. Tutto l'inconcepibile per l'austerità di queste parti diventa reale per un'ora e mezza.
Sono britannici tifosi, né gentleman, né ladies: gente comune che voleva la vittoria di Andy per cantare l'inno sul prato di Sua Maestà. Lo canta anche Murray, a denti un po' stretti, perché uno scozzese non si sente suddito di nessuno. Ha vinto per la Gran Bretagna, ma soprattutto per sé. Ecco perché se ne può fregare di tutto: quando salta in testa agli spettatori per andare a salutare tutto il palco con i suoi parenti e i suoi amici fa quello che non ha potuto fare qualche settimana fa. Abbraccia tutti: la fidanzata, il padre, il fratello, la madre. La signora che l'ha portato qui. Lei era una tennista professionista, quando smise diventò maestra e portò Andy sui campi: diventerai bravo, vedrai. Solo che per diventare grande, Murray ha lasciato casa. Qualche mese fa, il Post ha raccontato la storia: «La madre racconta che un giorno la chiamò e disse: «Ho appena giocato a racquetball con Rafa e sai cosa mi ha detto? Si allena con Carlos Moya, non va a scuola, gioca tot ore al giorno, fa questo, si allena sulla terra e io invece cosa faccio? Io mi alleno con te e mio fratello all'università». Murray aveva 15 anni e decise di dare una svolta professionale alla sua carriera entrando nell'accademia Sánchez-Casal di Barcellona. A 16 anni dovette sospendere gli allenamenti per 6 mesi e li passò a studiare le partite di tennis e a prendere appunti. Iniziò il 2005 al 407° posto della classifica Atp e concluse l'anno al 64° posto».
Per arrivare qui Andy s'è spaccato in due. Lo vedi: non ha la classe di Federer, lui non è il tennis come l'altro. S'è costruito campione a botte di allenamenti, di fatica, di sudore, di preparazione mentale: ce la posso fare, ce la devo fare. Il Wall Street Journal è andato a trovarlo a casa e ha raccontato che Murray si allena con un rigore maniacale: studia ogni avversario per ore alla tv, poi costruisce tatticamente i suoi match, poi fa bagni freddi, corre, dorme la quantità di ore che la sua tabella gli dice di rispettare. Ha cambiato alimentazione: ha perso grassi e ha irrobustito la muscolatura, ha rinunciato a tutti gli alimenti col glutine, a cominciare dai biscotti che fino a poco tempo fa la nonna gli inviava ovunque fosse. Poi ha preso uno psicologo personale e un allenatore nuovo: è Ivan Lendl, l'ex numero uno al mondo. Questa è la storia di uno che ci crede. A Wimbledon 1 ha detto: «Andarci così vicino e non riuscirci è dura». E giù lacrime, singhiozzi, delusione. Microfono a Federer: «Sono sicuro che un giorno Andy ce la farà». Il giorno è arrivato presto. Diverso, ma bello lo stesso. E ora a commuoversi è la gente britannica. Si vede un gruppo di volontarie di Londra 2012 che scoppia in lacrime appena lui abbraccia la fidanzata. Dicono tutte insieme: «Che tenero». Così è: il Regno Unito si innamora delle storie strappacuore. Si innamora anche dei ragazzi per bene. Come Andy che sventola la bandiera del Regno Unito un po' goffamente. Non è abituato, né all'Union Jack né a vittorie così importanti. Dice: «È la cosa più bella che mi sia capitata nella carriera». I sacrifici valgono la pena anche quando vinci il torneo sbagliato nel posto giusto. Sembra uno che abbia voglia di chiedere a Federer: facciamo a cambio? Tu ti prendi quest'oro olimpico, io mi prendo la finale che ho perso un mese fa. Tace, però.

Sa che questa vittoria non è la stessa cosa, però se la tiene. Ha venticinque anni e un solo avversario sull'erba. Il rivale è il più forte del mondo, ma si ritirerà prima di lui. Prende la medaglia, per ora. Wimbledon vero c'è ogni anno, in fondo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica