Londra 2012

Londra ci fa sognare il mondo che saremo

Uno spettacolo straordinario per esaltare un cambiamento: da quello che siamo stati a ciò che dobbiamo tornare ad essere

Londra ci fa sognare il mondo che saremo

nostro inviato a Londra

Missili sui tetti, elicotteri ovunque, computer connessi, telecamere che spiano, filo spinato, recinzioni, muri, controlli, soldati, tecnici, addetti e infine... Poesia.
Poesia dentro lo stadio bunker perché il mondo di fuori e i quattro miliardi di spettatori collegati e i centoquaranta notabili fra politici e capi di stato e teste coronate sappiano che l'Inghilterra crede di essere l'ombelico del mondo ma nel farlo, stavolta, non cade nell'arroganza molto british e molto urticante di dar lezioni. Al contrario. Ci aiuta a pensare. Perché la cerimonia d'apertura di Londra 2012 sarà anche un grande e sacrosanto spot United Kingdom però ha la forza inaspettata di prenderci per mano e invitarci a riflettere.
Poesia perché non sfila tutta la storia del Paese ospitante come spesso in passato, bensì il desiderio grande di questa gente, e in fondo, anche nostro, di una vita più a misura d'uomo. Una vita dimenticata a cominciare da quella violentata dalla prima rivoluzione industriale che il direttore artistico Danny Boyle, il regista premio Oscar per The Millionaire, ha voluto inserire come spartiacque fra il mondo che era e quello che è stato, quello che è, soprattutto quello che deve tornare ad essere. Riveduto, corretto, migliorato grazie al progresso, perché this is for everyone è il tema della cerimonia, «questo è per tutti», la frase di un signore per molti sconosciuto ma che ci ha cambiato il mondo: Tim Bernes-Lee, l'uomo che ha regalato il vuvuvu del world wide web.

Poesia che usa il verde, le colline, i ruscelli, gli animali zampettanti dentro l'Olympic Stadium per urlare al mondo l'ideologia del fuori città, della ruralizzazione che cattura sempre più il cuore della gente d'Inghilterra, gente attratta dalla voglia grande di addomesticare il progresso ma di vivere come in un passato non troppo lontano. Poesia che usa, o meglio, chiede cortesemente a Sua Maestà Elisabetta II di stare al gioco in un video, di ricevere 007, l'agente simbolo vintage delle spie che furono, e allora ecco Daniel Craig a palazzo. Poesia che usa 7500 comparse per affidarsi all'ordinary people, alla gente comune che siamo noi, come durante «the family», la scena che racconta un normale sabato sera in un casa inglese.
Poesia perché la musica della London Symphony Orchestra strega, perché sir Paul McCartney affascina, perché i Beatles sono grandi e vintage, perché gli anni '60 e '70, '80 e persino ‘90 ancora spopolano e la musica techno sembra addolcirsi per merito del passato. E poi ci sono loro, i sogni, le fiabe, c'è Mary Poppins, c'è Harry Potter nascosto fra le parole di sua mamma JK Rowling. E c'è David Beckham, bella, bravo, buono come sempre.

Sì, su tutto domina il passato, quello un po' lontano e un po' vicino, quello giusto, quello a cui affidarsi per affrontare il futuro dietro l'angolo. Lo sanno bene gli atleti che guardano ai record per superarli. I portabandiera vip e quelli che nemmeno sai chi siano, quelli dei Paesi dimenticati, tutti ugualmente importanti in questa notte colorata e seppiata al tempo stesso. Lo sanno bene tutti, il passato resta e condiziona, soprattutto quando sfilano i ragazzi dell'Argentina, che salutano e però qualche applauso in meno lo ricevono. Questione di guerra, di isole contese, di Falkland.

Però adesso basta. Tocca a lui, all'ultimo tedoforo. E tocca a loro, agli atleti. Tocca a noi. A Valentina.

Splendida portabandiera d'Italia a spasso armata per quest'Inghilterra dell'altro ieri.

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