Macché F1, moto, libera e salti Ecco perché è bici rischia tutto

L'esasperata riduzione del peso tra le cause delle cadute Colnago: «Colpa di telai leggeri e ruote troppo pesanti»

Macché F1, moto, libera e salti Ecco perché è bici rischia tutto

È lo sport della fatica, ma anche della paura e dell'imprevisto. Ciclismo sport duro, e questo è risaputo. Per molti è il più duro, per altri tra i più selettivi, ma sicuramente è il più pericoloso: in assoluto.

Affrontano discese tecniche e pericolose a 90 o anche 100 chilometri orari, sostenuti solo da due pneumatici larghi 22 millimetri gonfiati a 9 atmosfere, con il corpo coperto da un semplice velo di tessuto leggerissimo e traspirante dai colori sgargianti. Unica vera protezione, il casco in polistirene espanso sinterizzato (Pes), la cui calotta è unita alla copertura esterna in policarbonato.

Sono i forzati del pedale, autentici miti delle due ruote che fanno l'impossibile e il possibile per restare in equilibrio precario su quel cavallo che un tempo era d'acciaio e ora in sofisticato carbonio.

La tappa di domenica del Tour de France è stata un'autentica carneficina, con una serie infinita di cadute: quattro corridori fratturati e ricoverati, ferite che non si contano, così come i punti di sutura che sono stati applicati su arti e volti, ha riacceso l'attenzione sulla pericolosità dello sport della bicicletta.

Le cadute, lo sappiamo, fanno parte integrante del ciclismo e della sua storia. Da Roger Riviere che nel 1960 al Tour finì in una scarpata per inseguire Gastone Nencini e restò paralizzato alle gambe, a Luis Ocaña in maglia gialla alla Grande Boucle del 1971. Drammi di ieri come quello di Pedro Horrillo, volato per oltre 70 metri in un burrone, scendendo dal Culmine di San Pietro al Giro d'Italia del 2009 o come quello di Adriano Malori che proprio ieri ha ufficialmente annunciato il suo ritiro agonistico, senza essere riuscito a recuperare completamente dopo la terribile caduta di cui è stato vittima al Tour San Luis nel gennaio 2016. O drammi di oggi come quello di Claudia Cretti, la ventunenne bergamasca caduta in discesa pochi giorni fa al Giro Rosa e tutt'ora ricoverata in rianimazione a Benevento, in condizioni critiche, ma stabili.

Sulle cadute al Tour, Eusebio Unzue e Nairo Quintana, rispettivamente manager e capitano della Movistar, hanno scatenato ieri una polemica: «Troppe discese pericolose nei Grandi Giri, meglio avere più arrivi in salita...». Ma la spiegazione la danno loro stessi: «La stessa discesa del Mont du Chat al Delfinato non aveva creato problemi, ma al Tour tutto cambia». Già proprio così: al Tour tutto cambia. Perché? Perché la posta in palio è elevatissima. Il Tour è tutto, e i corridori sono disposti a tutto pur di prevalere sulle strade di Francia.

I corridori che lottano per un grande traguardo come il Tour vanno costantemente al limite, scelgono l'esasperazione in ogni settore: anche nella scelta del mezzo meccanico a scapito della sicurezza.

«Si giudica una buona bicicletta solo per il peso: è un errore gravissimo - spiega un maestro delle due ruote come Ernesto Colnago -. La bici deve essere performante, ma soprattutto sicura. Invece si preferisce togliere qualche grammo al telaio, per mettere ruote più rigide e pesanti. Per non parlare dei vari computerini da montare sul manubrio. E i freni a disco? Cambierebbero la vita».

Tecnologia per assicurare una migliore sicurezza? In commercio c'è da qualche mese un casco che contiene una sorta

di airbag capace, in caso d'impatto, di aprirsi e proteggere la testa, il collo e la parte alta della schiena, che sono le parti più delicate e a rischio. Naturalmente in corsa nessuno lo indossa: è ancora troppo pesante.

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