Calcio

Dalla mano de Dios al piede di Dia. Napoli, festa rovinata

Il pari del senegalese gela club e città che avevano fatto spostare la sfida. Il match point sarà a Udine

Dalla mano de Dios al piede di Dia. Napoli, festa rovinata

Festa rimandata. Al fischio finale sventola ancora l'azzurro ma non c'è il tripudio che aveva accompagnato la domenica fino al minuto 84. Gli invitati si alzano elegantemente e vanno via, dandosi appuntamento alla prossima occasione. Sembrava una festa apparecchiata, lo slittamento della gara a domenica, la città blindata, i piani di sicurezza, la vittoria dell'Inter sulla Lazio, grimaldello necessario per aprire la porta verso il sogno. Ma è mancato il tassello fondamentale, i tre punti nel derby contro la Salernitana, che la sua rivincita se l'è presa eccome! Aveva alzato la voce invocando la regolarità del campionato, sentendosi penalizzata più di ogni altro per il match spostato da sabato a domenica. Adesso Sousa può togliersi qualche sassolino: «Abbiamo fatto la partita che dovevamo fare, difenderci è stata una nostra scelta. Se avessimo osato di più, il Napoli avrebbe trovato altri spazi. Il giusto premio a quanto accaduto in settimana? Direi il giusto premio al nostro lavoro, questo punto può essere decisivo verso l'obiettivo della salvezza, mi ha fatto capire che possiamo competere anche contro avversari fortissimi».

È sembrato uno scherzo del destino. O una vendetta. O è stato il piede di Dia. Sforzi e pressioni per spostare la partita prevista di sabato, la festa preparata, doveva esserci l'impresa della squadra, che la partita l'ha fatta, sfiorando un imbarazzante ottanta per cento di possesso palla, e invece al novantesimo le facce più sorridenti sono quelle della Salernitana, che non s'è mai sentita agnello sacrificale. «Non è che il Napoli si è abbassato dopo il vantaggio ha precisato Sousa siamo stati noi a intuire il momento giusto per affondare il colpo. Abbiamo dato il meglio nel finale e c'era l'espulsione su Olivera, mi ha fatto piacere farlo presente all'arbitro a fine gara anche se l'espulso sono stato io». Niente giro di campo della squadra, niente cena allo stadio, la matematica offre ancora altri match-point, resta il fatto che l'amaro è difficile da mandar giù. Se avesse vinto la Lazio amen, invece il primo stravolgimento del calendario ne porterà altri. A cominciare da giovedì, il Napoli che voleva festeggiare dinanzi ai propri tifosi, nel suo stadio e nella sua città, rischia di vincere il terzo scudetto della storia senza nemmeno scendere in campo, dipenderà tutto dai risultati del mercoledì. Spalletti ha tradotto la delusione in sorrisi molto forzati: «È solo un godimento dilazionato, è chiaro che intendiamo regalare ai napoletani questa gioia al più presto: la tensione c'è, inutile nasconderlo, però abbiamo meno problemi di tanti altri. I punti vanno fatti sul campo, non a parole. Quest'attesa è come il bacio, più è lungo, più è bello». Di certo non è quello che si aspettavano le istituzioni del calcio e non solo. La festa apparecchiata e poi rimandata per colpa di un pareggio è come una coltellata che fa male più del sinistro di Dia: si poteva fare di più e meglio, in campo e fuori.

In pratica, è come se fosse stato montato il palco, scritta la sceneggiatura e non aver mandato in scena la rappresentazione.

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