Era il 22 ottobre e quella sera sono arrivati assieme. Uno al fianco dell'altro. Quasi a braccetto, come due buoni amici. Merckx con Gimondi. Gimondi con Merckx. Dopo anni di battaglie e sfide al limite delle loro possibilità. Una rivalità vera e autentica, come la stima che accompagna da sempre questi due immensi campioni del pedale.
Gimondi assieme a Merckx, uno di fianco all'altro, per una buona causa: la Fondazione Pietro e Ambrogio Molteni, la famosissima maglia blu-camoscio voluta dai figli Pierangela e Mario, creata per dare un aiuto ai corridori in difficoltà. «Se conosco la maglia Molteni? Nessuno la conosce meglio di me. Ce l'avevo sempre davanti agli occhi, visto che quel sacramento mi teneva sempre alle sue spalle», esordisce Felice Gimondi, che quella sera di fine ottobre è davvero un fiume in piena.
Lui sempre parco e misurato, quasi schivo, si lascia andare e prende la scena con personalità e aneddoti di vita a non finire. Con un Merckx che per la prima volta nella sua vita non è comparsa, ma sicuramente comprimario, incapace questa volta di restargli a ruota, nonostante sul palco della Sala Buzzati della Gazzetta dello Sport siano seduti uno di fianco all'altro.
«Pensavo di averti fatto soffrire così tanto da averti tolto la parola, ma è chiaro che mi sbagliavo», dice sornione di rimando il fuoriclasse belga, quasi intimorito dal nostro Felice. In sala sono tutti incantati e sorpresi da questi due simboli di sport. Gimondi ironico, ma anche sincero e autentico, come sempre. «Mi chiedete sempre se Merckx mi ha rovinato la vita. Mi ha rovinato quella di corridore, perché ho dovuto soffrire troppo per batterlo, ma che soddisfazione quando ci sono riuscito».
E Merckx? Asciutto più di Felice. «Contento io quando Felice vinceva? Mai, sarei un bugiardo. Io quando perdevo non ero mai contento. Certo, con il senno di poi, oggi posso dire meglio lui di un altro, ma contento no. Quello mai!».
Di conseguenza, non può essere diversa la risposta sul mondiale di Barcellona, quello del 2 settembre 1973, sul circuito del Montjuïc. «Meglio far vincere Felice piuttosto del giovane belga Freddy Maertens? Sciocchezze! racconta il Cannibale -. Io quel mondiale lo volevo vincere e invece ho finito per perderlo, perché Felice quel giorno è stato il più forte e il più astuto di tutti noi».
Felice gongola a sentir quelle parole. «Ti girano ancora eh. Non è bello perdere. Ma quel giorno hai perso tié!», con quel sorriso pieno e dolce, da eterno bravo ragazzo cresciuto a pane e latte.
Quando Eddy venne al mondo, nel 1945, Felice aveva quasi tre anni di vantaggio. Il sorpasso nella cronometro di Rosas al Giro di Catalogna del 1968. Fu un capolavoro del belga e Felice passò la serata a passeggiare sulla spiaggia interrogandosi con Giancarlo Ferretti senza trovare una risposta a quell'inaspettata batosta. In verità la trovò. «Era chiaramente di un altro pianeta: era più forte di me racconta -. Io fino a quel momento ero davvero l'uomo da battere: nessuno come me. In verità Eddy mi riportò immediatamente sulla terra, anche perché lui era un extraterrestre».
Gimondi-Merckx. Il bergamasco e il fiammingo. Nuvola Rossa e il Cannibale. La tenacia contro la forza impersonificata. «Felice è stato l'avversario più tenace e incredibile che abbia mai affrontato. Era un testone, esattamente come me: io volevo sempre vincere, lui non ci stava mai a perdere», ricorda Eddy.
Felice quella sera ha sorriso più di ogni altra volta. Finirà con un bicchiere in mano: Merckx che beve di gusto e Felice, come al solito, che fa finta.
«Quando senti dolore, allora è quello il momento in cui puoi fare la differenza», spiega Eddy. «Confermo, anche se la differenza io non l'ho mai sentita: il dolore l'ho sentivo sempre». E giù a ridere, con Eddy che sorseggia un buon vino rosso e Felice che fa finta
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