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Messi e la lezione non capita del Bayern campione d'Europa

Anche la Juve, strutturalmente più simile al club tedesco, si è omologata a chi cerca colpi anziché tenere salda l'identità

Messi e la lezione non capita del Bayern campione d'Europa

Nella società dello spettacolo, come la chiamava già nel 1967 lo scrittore francese Guy Debord, si procede per immagini: le interpretazioni rimpiazzano i fatti e la narrazione diventa essa stessa verità. Per averne una dimostrazione sportiva basta osservare la serie tv più amata dagli Italiani, il calciomercato estivo: qui tra bombe, colpi, accelerazioni e brusche frenate, indiscrezioni che filtrano e ancora clamorosi colpi di scena, lo spettacolo si dispiega con una potenza di fuoco da far impallidire le più grandi produzioni Netflix.

Ogni telenovela, però, ha bisogno di validi attori protagonisti: nel calcio la parte è demandata ai cosiddetti top player, uno su tutti, in queste ore, Lionel Messi. Qui colpisce un altro aspetto della narrazione odierna, ovvero la sua inafferrabile incoerenza: fino a pochi giorni fa si parlava di modello Bayern, pianificazione, progetti a medio-lungo termine. Adesso è bastata la rottura tra Messi e il Barcellona per sguinzagliare istinti, accendere sogni e immaginare trionfi nell'immediato.

Aguero si dice pronto a lasciargli la maglia numero 10 del Manchester City (mentre Guardiola, dopo aver fatto spendere 778 milioni in quattro anni agli sceicchi, sogna di sforare il miliardo con l'ingaggio della Pulce); il Paris Saint-Germain, sempre a proposito di petrodollari, mira a ricomporre con l'argentino la coppia da copertina con Neymar Jr. Sognano in patria anche Juventus e Inter: la prima non paga dell'affare Ronaldo, la seconda pronta a nascondere i problemi strutturali sotto al tappeto con il giocatore più forte del mondo.

L'unico top club a sfilarsi dalla corsa per l'argentino è stato proprio il Bayern Monaco, fresco campione d'Europa. «Non possiamo pagare un giocatore così. Non fa parte della nostra politica e della nostra filosofia», ha dichiarato un laconico Franz Rummenigge, presidente del club. Parole in linea con quelle di Uli Hoeness del 2017 che, malgrado le pressioni di stampa e tifosi, affermava deciso: «Non spenderemo 100 milioni per Verratti. Né 25 all'anno per Sanchez. Se vogliamo vincere dobbiamo rafforzarci e certamente spendere, ma non fare sciocchezze». E poi ancora, incalzato dalla rivista Kicker: «Ci accusano di essere dei perdenti sul mercato avviati al declino perché non compriamo giocatori costosi. Verrà il momento in cui chi spende così tanto non potrà permettersi nemmeno un tozzo di pane perché il successo, in campo sportivo, non si può programmare come immaginato dai grandi investitori. Solo una squadra vince la Champions e quegli investitori diranno: abbiamo sborsato tanto senza vincere nulla. E arriverà il momento del Bayern».

Certo poi i bavaresi sono intervenuti per puntellare la squadra e anche pesantemente: solo la passata stagione hanno investito più di 100 milioni di euro tra Hernandez (80) e Pavard (35) malgrado questi, nella finale di Lisbona, siano rimasti in panchina. Sommando i cartellini invece l'undici titolare del Bayern è costato alla proprietà circa 123 milioni; quello del PSG 633,5, più di cinque volte.

Il problema è che la lezione, anche da noi, sembra venire fraintesa: qui il modello Bayern è invocato da Pirlo per il gioco propositivo e da Scaroni (presidente del Milan) per lo stadio di proprietà. Scorciatoie per ispirarsi a un originale che affonda le radici nella dottrina del Mia san mia (Noi siamo noi), una filosofia che si traduce in pianificazione tipicamente teutonica. Il gioco non è allora la causa dei successi, bensì l'effetto di un equilibrio interno e di una proprietà sempre presente.

La stessa Juventus, che in Europa sembrava la società strutturalmente più simile al Bayern, negli ultimi anni si è omologata ai top club anziché mantenere salda la propria identità. Tra Ronaldo, parametri zero più mediatici che efficaci e il gioco proattivo di Sarri, a Torino si è puntato sui modelli sbagliati.

Il Bayern, nel frattempo, insegna: tutto sta nel comprendere la lezione.

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