Mihajlovic, il contratto e una firma lezione di vita

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Ci sono gesti e scelte che ci riconciliano con il calcio di questi giorni scanditi spesso da sgambetti e trappole infernali. E quando avvengono vanno segnalati, in qualche caso sottolineati perché rappresentano l'altra faccia del Belpaese, l'altra fetta del pallone per il quale conviene ancora innamorarsi. La cerimonia molto intima della firma del rinnovo contrattuale di Sìnisa Mihajlovic con il Bologna non è un banale adempimento ma il segno che si possono realizzare obiettivi diversi dalla dura legge del business e del risultato a ogni costo. Rivedere Sinisa sorridente, con quella mise che è diventata la sua coperta di Linus (Coppola in tinta perfetta con la giacca), riapre il cuore alla speranza non soltanto di chi, come lui, si è imbattuto nella perfida malattia ma restituisce al calcio valori e messaggi che sembravano finiti in una buca, sopravanzati da un'età in cui si dimentica e cancella.

Innanzitutto c'è il riconoscimento solenne e pubblico che aver lottato con medici e infermieri per guadagnare un permesso e correre ad allenare o a seguire la squadra impegnata in campo è una dimostrazione di attaccamento che merita un premio speciale. Poi quella firma documenta la voglia, reciproca, di società e allenatore, di voler puntare a traguardi più ambiziosi per il futuro, un posto in Europa league per esempio come capito al Bologna di Gazzoni Frascara. Infine significa che il rapporto cementato dalla notizia del ricovero in ospedale tra tifoseria spicciola e Sinisa può diventare la benzina per compiere insieme molto strada.

Nel ricordo del cronista la processione al santuario di San Luca con la moglie di Mihajlovic confusa col resto del popolo bolognese è una fotografia che resta impressa nella memoria collettiva e che documenta il processo d'identità tra una tifoseria e una famiglia. Questo calcio ci fa stare meglio.

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