
Lo slogan potrebbe essere il seguente: «lasciate scappar via il Milan di Pippo Inzaghi, tanto prima o poi si ferma per strada e potrete raggiungerlo e sorpassarlo».
Rende quasi alla perfezione l'idea di una squadra che sta diventando specialista nel farsi rimontare puntualmente. La sequenza, dalla sfida con la Fiorentina all'andata (gol di De Jong, pari di Ilicic) a quella di lunedì sera a Firenze (vantaggio di Destro, Rodriguez e Joaquin l'uno-due viola), è da brividi: in un girone completo infatti ha perso per strada la bellezza di 21 punti nel corso di nove partite, tutte cominciate col passo giusto, saltando in groppa al risultato prima di cedere al panico, alla confusione tattica, ai duelli in quota persi, e al ritorno dei rivali che hanno pareggiato (sei casi) nel finale e addirittura vinto (Fiorentina, Lazio e Sassuolo) trasformando in un buco nero l'attuale classifica. In particolare nerissima è quella, parziale, del 2015 che può segnalare un deficit inquietante: 11 partite, 10 punti incassati, una media da retrocessione e infatti nella graduatoria particolare è al terz'ultimo posto. La media complessiva di Inzaghi è sempre più bassa, 1,29 la peggiore del periodo berlusconiano. Tanto da far dire a Matteo Salvini, milanista d'antan: «Neanche in serie B eravamo ridotti così».
Dinanzi a questo girone allucinante, Inzaghi -che aveva l'aspetto di un pulcino bagnato lunedì sera- ha preso cappello e dinanzi ai microfoni ha dettato: «Questa volta non potranno dire che abbiamo giocato male, potevamo stare 3 a 0 nel primo tempo». Non sarebbe stato meglio fare professione di umiltà e riconoscere che nonostante la buona partenza, questo Milan non è in grado di concludere una partita, non dieci, una sola, così come l'ha cominciata? E cioè col piglio giusto, con coraggio, senza retrocedere metro dopo metro col passare dei minuti, senza ascoltare gli avvertimenti provenienti dal campo e rivolti alla panchina? È vero che il Milan dei primi 20-30 minuti è apparso come il migliore della stagione: nessun dubbio. È vero che Paletta (il più bravo) e Mexes hanno difeso come mai era capitato di vedere e che l'allarme lanciato dal francese («mister ci stiamo abbassando troppo») è rimasto inascoltato. È vero che Menez e Honda (da sostituire un po' prima per dare a Cerci più di una manciata di minuti) hanno avuto l'occasione per far gol subito ma poi la Fiorentina ha avuto la sua belle occasioni (traversa di Basanta, salvataggio di Abate quasi sulla linea) mentre i contropiedi organizzati nella ripresa dai rossoneri dopo il vantaggio firmato Mattia Destro (40esimo centro in serie A, mica male per uno che non gioca in modo continuo) non hanno prodotto un solo tiro in porta. La resistenza fisica ha segnalato, qualora ce ne fosse stato bisogno, un deficit mai colmato nonostante gli interventi del preparatore da gennaio in avanti.
Da oggi i riflettori sono puntati su sabato sera e sul ritorno di Zeman a San Siro. Nella sfida di Cagliari, il Milan fu capace di una delle sue rare rimonte, pareggiando con Bonaventura (gol impossibile da 35 metri) il lampo di Ibarbo. Dovesse mancare anche quest'ultimo appuntamento, ci sarebbero due settimane prima del viaggio a Palermo, per adottare qualche provvedimento drastico.
Da precario il Milan è destinato a vivere alla giornata e a considerare, una settimana dopo l'altra, decisiva la partita che verrà, senza contare che lo spessore dei rivali è destinato ad alzare sempre più l'asticella delle difficoltà. Nelle ultime 11 partite, Inzaghi deve affrontare Roma, Napoli, Samp, Palermo, Genoa che stanno davanti. L'unico motivo di ottimismo è dato dal recupero dei tanti infortunati. Basteranno?