Monti, campione in pista e in redazione

Bronzo in staffetta a Londra '48, per anni nostra firma dell'atletica

Monti, campione in pista e in redazione

Un paio d'anni fa, guardandosi in giro al funerale di Rolly Marchi, era rimasto un po' stupito: «Mi sembra che della vecchia guardia siamo venuti in pochi... Chissà perché?». Carletto Monti aveva ormai superato abbondantemente la novantina in splendida forma e pensava che tutti dovessero tenere il suo ritmo, come quando correva sulle piste di carbonella della sua atletica prima e dopo la guerra. Adesso che ci ha lasciati alla stupenda età di 96 anni si renderà conto che quelli della vecchia guardia ormai li aveva seminati tutti.

Se n'è andato un grande sportivo, sia in pista che fuori, ma soprattutto un grande gentiluomo, un vero signore d'altri tempi. Per noi Carlo Monti era sì la medaglia di bronzo nella staffetta 4x100 alle Olimpiadi di Londra del '48 (con Tito, Perucconi e Siddi), oltre che bronzo europeo nei 100 a Oslo nel '46 e otto volte campione italiano dei 100 e dei 200 a cavallo della guerra, che gli ha sicuramente portato via la parte più bella della carriera, ma era soprattutto l'amabile presenza di tante domeniche in redazione, quando da assiduo collaboratore del Giornale veniva ad occuparsi della complicata pagina dei risultati e delle classifiche.

Avere Carletto in redazione era come sentirsi a casa con un vecchio zio, per i più giovani era come avere un nonno. Oltre che esperto della sua atletica, a cui ha dedicato anche un libro sulla marcia appena sei anni fa, Monti era un pungente tifoso dell'Inter e il massimo era vederlo davanti alla tv quando i nerazzurri sfidavano la Juve, in quella che era la sua partita, e si scatenava sfoderando il suo miglior repertorio in milanese, rovesciandolo sui rivali di sempre. E quando l'Inter perdeva, il consiglio all'allenatore di turno era categorico: «Mandi a cur su la Muntagneta». D'altra parte nessuno poteva permettersi il dialetto meglio di lui, nato in pieno centro, a due passi dalla redazione del Giornale, in San Vittore al Teatro, in una casa che venne poi demolita per far posto alla Borsa.

Monti era approdato al giornalismo per passione più che per professione (era laureato in chimica e quello era stato il suo vero lavoro), aveva scritto per La Notte (dove teneva anche la rubrica del Totocalcio e spesso ci azzeccava), per il Corriere dello Sport e, da metà anni Novanta, per il Giornale. Ed era il padre di Fabio, per tanti anni nota firma del Corriere della Sera.

Ci raccontava spesso di quella medaglia di Londra, che sul podio era d'argento, ma diventò di bronzo quando già erano sul treno perché nel frattempo avevano accolto il ricorso degli americani primi al traguardo e momentaneamente squalificati. Ma per noi Carletto resterà sempre una medaglia d'oro. Di umanità.

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