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Mourinho out, zeru rispetto

C'è da immaginare il fischio di sollievo dei signori arbitri: l'orso Mou non c'è più

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C'è da immaginare il fischio di sollievo dei signori arbitri: l'orso Mou non c'è più. Ormai proprio loro non ne potevano più. E i padroni americani della Roma forse hanno intuito l'aria. Chissà mai la cacciata non torni utile. Mou fatto fuori pensando al rendiconto costi-resa più che al piacere del popolo. È il sistema made in Usa. Nessun rispetto per fatti e qualità: il Milan si è sbarazzato del Maldini che l'aveva resuscitato, i Friedkin hanno perso fiducia nel santone grondante medaglie. Si sono sbrigati in fretta. Ieri mattina Dan Friedkin gli ha dato il benservito senza penale, saranno pagate solo le ultime mensilità. In un'ora e mezzo svuotato l'ufficio del tecnico, un camion ha recapitato la roba in albergo. Mou arrivò il 1° luglio 2021 accolto da folle adoranti, ha chiuso seduto sulle tribune di San Siro per l'ennesima squalifica. Il popolo romanista stava già dividendosi tra incalliti amanti e inviperiti detrattori: a Roma 4 derby persi su 6 sono peggio di 4 finali di Champions perdute. Eppure ieri Mou ha lasciato Trigoria tra cori e applausi. Ne uscirà con il sorriso il menestrellismo del contro che si opponeva al menestrellismo del pro. Vecchie storie vissute pure all'Inter dove Mou era più giovane, forse più intuitivo nel capire l'ora della fuga: scappò in una notte di gloria al braccio del presidente del Real Madrid. Come un ladro di polli, pensò qualcuno.

Stavolta paga anche per quella fuga: è stato esonero come con Manchester United e Tottenham. Altrove si dissero «risoluzioni consensuali». Paga in senso emblematico perché la rabbia potrebbe far rima con Arabia: dalla rabbia all'Arabia il passo è breve. La rabbia Saudita potrebbe essere l'ennesimo forziere d'oro. Difficile dire no per uno Special One ormai più narciso che Special. E se gli offrissero la panca nazionale dove siede Mancini? Storia già vista a Milano. Mancio starà toccando ferro.

Ma l'Arabia sarebbe l'addio al suo super Ego. Per i danari basta scorrere il registro di vita per contare le miliardate arrivate da meriti di panchina o da altre occupazioni: opinionista a 68mila euro a puntata per beIn Sports, editorialista per giornali e tv inglesi (da Special One a collega il passo è breve), Ambassador di chiunque paghi bene. Mise anche del suo in un progetto giovanile che coinvolgeva bambini palestinesi e israeliani. Infine ti capita la Roma: vinci una coppa europea, per la squadra il primo successo dopo 14 anni. Poi ti giochi una finale di Europa league e perdi anche per ghiribizzi arbitrali. Eppure i numeri, i tuoi numeri diventano palla al piede quando perdi troppo spesso. Però vanno in campo i giocatori. E quelli sono palla al piede quanto i numeri: scorri la salute malferma di Renato Sanches, i muscoli fragili di Dybala, i flop di Lukaku nei big match, una difesa avvilente, un centrocampo non certo irrorato da Paredes. Anche sostituire il portiere Rui Patricio con Svilar, contro il Milan, non è stato un bel segnale. Cosa frullava nello spogliatoio? Il confronto fra Milano, dove aveva una grande squadra, e Roma è feroce nelle sconfitte: 108 match con l'Inter, 67 successi, 26 pari, 15 sconfitte. Con la Roma: 138 match, 68 successi, 31 pari, 39 sconfitte. In compenso nella capitale ha fatto record di sold-out, ma la peggior percentuale di vittorie in carriera. Il padre di Mou si chiamava Felix. Anche Mou risulta Felix sulla carta di identità.

Difficile renderlo infelix.

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