Coronavirus

Il no del calcio a Draghi: "Noi non ci fermiamo Però se ce lo imponi.."

Gravina e Dal Pino: "Serie minori ferme e siamo al collasso". Decida il governo. Ipotesi stadi chiusi

Il no del calcio a Draghi: "Noi non ci fermiamo Però se ce lo imponi.."

«Calcio, fermatevi». «No, grazie, non è possibile, fatelo voi». Sintetizzato così è questo il botta e risposta a distanza avvenuto ieri tra il presidente del consiglio Mario Draghi e i presidenti dei club di serie A. Il governo è tornato alla carica con il calcio. Questa volta è stato il premier ad alzare il telefono e a chiamare Gabriele Gravina, presidente della federcalcio. La telefonata ha avuto toni cordiali ancorchè preoccupati. Draghi ha chiesto il lockdown parziale, tempo un paio di settimane della serie A nella speranza di frenare la salita vertiginosa dei contagi. Alla fine del colloquio ha dipinto lo scenario possibile: ritornare agli stadi chiusi nel caso di pandemia fuori controllo. La risposta di Gravina è stata dello stesso tenore: ha ricordato che il calcio è praticamente tutto fermo (bloccati i campionati di serie B, lega pro, dilettanti ed eccellenza, ndr) tranne la serie A e ha passato la palla all'assemblea dei presidenti riunita in quelle stesse ore da remoto. La richiesta è stata perciò girata da Gravina a Dal Pino, il presidente, con il suggerimento di una proposta-compromesso, una sorta di auto-riduzione della capienza per evitare l'estremo provvedimento delle porte chiuse. Dalla platea dei presidenti è arrivato un no perentorio. Inevitabile, tra l'altro con spiegazione a latere. Decidesse la serie A di sospendere il torneo, perderebbe le quote dei diritti televisivi di Dazn e Sky. E in tempi di crisi per gli azionisti, sarebbe un colpo mortale per molte società già in estrema difficoltà col pagamento di stipendi e versamenti Irpef. La vecchia causa con Sky (per il precedente lock down) fu vinta grazie al riconoscimento della «causa di forza maggiore». Di sicuro interverrebbe un giudizio diverso qualora fossero i presidenti dei club a fermare il campionato. «Il sistema è già al collasso, significherebbe far fallire le aziende» la spiegazione in sintesi fornita dallo stesso Dal Pino a Gravina. Si capisce anche per quale motivo tattico Draghi non si è spinto a minacciare un intervento del governo: dovesse decidere d'autorità la chiusura della serie A mentre in Inghilterra, Germania, Francia e Spagna non succede, dovrebbe assumersi l'onere dei ristori ai singoli club.

Sul tema il dibattito interno all'assemblea è stato molto acceso e non sono mancati anche interventi polemici riferiti al clima di allarme eccessivo procurato dai media. Anche sul protocollo di recente approvazione, il presidente Cairo ha espresso le sue critiche («se si considerano anche i primavera per raggiungere quota 13 si penalizza il merito») rintuzzato dal presidente del Verona Setti («a Spezia abbiamo giocato con 9 positivi schierando egualmente 16 professionisti»). A fine riunione, la convinzione unanime è che sulla spinta di questo no, il governo nel giro dei prossimi giorni tornerà alla chiusura degli stadi anche perché controllare che 38mila (gli spettatori di Milan-Roma) mantengano la mascherina è operazione impossibile. Mercoledì con il ministro Gelmini e il sottosegretario Vezzali si riunirà la cabina di regia (parteciperanno anche i rappresentanti di basket e volley guidati dal presidente del Coni Malagò) per disciplinare meglio l'intervento delle singole asl.

Queste ultime hanno già «cancellato» quattro partire di domani: Cagliari-Bologna, Torino-Fiorentina (slitterà a lunedi), Verona-Salernitana e Udinese-Atalanta.

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