Non piangere per Lio, Argentina, non è colpa sua

La sua serata finisce con un altro mondiale perso. Maradona avrà gufato, ma Messi resta un campione

Non piangere per Lio, Argentina, non è colpa sua

Sarà per un'altra volta, Lionel. Sarà per un altro mondiale, Messi. Herr Mario Goetze ti ha svegliato dal sogno. La coppa va verso la Germania, non piangere per lui Argentina. Messi non ha vinto ma non ha perso. Non è lui lo sconfitto anche se il totale direbbe questo. Messi non ha fallito ma la Germania è stata più forte, forse fortunata, ma con merito è campione. Lionel non è Maradona soltanto perché non ha vinto il mondiale ma più di Diego è uomo, professionista, distinto. Lo dimostra il suo bagaglio, i brasiliani godono e Maradona con loro, lui resta il Cristo Redentore ma che nessuno tocchi Abele Lionel.
Il barbiere di Rio gli aveva acconciato i capelli come Little Tony, la banana era bella ritta sulla capa. L'espressione era seriosa, preoccupata, da finale. Lionel Messi si è presentato per la sua partita dell'anno, del secolo, della vita, con l'ombra fastidiosa, pesantissima di Diego Maradona, presente e gufante in tribuna. Messi ha giocato un primo tempo da campeon, ogni movimento, ogni scatto, ogni dribbling era goccia di cianuro per la truppa tedesca ma la porta di Neuer sembrava il muro di Berlino con tutti i vopos schierati. La pulce era farfalla e zanzara, volava e pungeva, offriva a Higuain la palla gol annullata da quel guardalinee italiano con il quale Lionel si è messo a dialogare, per capire, sapere mentre la Germania rispondeva: nein, niente, prego ripassare. L'Argentina sognava di matare il popolo brasileiro, già cornuto e mazziato di suo, Messi ci ha provato, di sinistro, di destro, ha sbagliato un diagonale che gli appartiene, dalla nascita, per repertorio, qui ha preso a massaggiarsi la coscia sinistra, quella della gamba d'oro, segnale di allarme per l'albiceleste e il Paese intero. E gli ha preso ancora, di nuovo il conato di vomito, rigettando la tensione, la paura, la festa per lui è ancora angoscia, ansia di sbagliare, di non essere Lionel.
E allora nel secondo tempo la pulce sembrava intorpidita da quella paura, mentre il suo predecessore in tribuna probabilmente se la spassava, perfidamente. Messi si è tenuto distante dalla zona calda, impaurito forse da quella saetta che era passata nel muscolo della sua coscia.
Abbiamo atteso l'evento, il fatto, il miracolo. Perché Messi a questo ci ha abituato e a questo era chiamato per il mondiale brasiliano. Quasi a dire che senza il titolo più importante non sei un campione vero. E allora Cruijff o Van Basten hanno mai vinto un mondiale? E Platini? E Alfredo Di Stefano che nemmeno uno ne ha giocato? Chiacchiere da bar, Lionel Messi, con o senza la coppa al cielo, è un campione assoluto, capace di fare con il Barcellona quello che neppure a Maradona riuscì nelle sue temporadas spagnole. Ma tant'è, la comunicazione contemporanea, orale e scritta, emette le sue sentenze, se Messi vince il mondiale è come Maradona, se lo perde, è un terrestre lontano dal marziano.

L'ultimo suo calcio, su punizione, finisce sulla luna, quasi un messaggio di resa, non di abbandono
Rio de Janeiro beve birra e mangia wurstel, l'odore di bruciato della griglia argentina manda fumo nero e Messi è solo, solitario e finale, in mezzo al campo, là dove ballano i tedeschi.

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