 
Ok, settimana scorsa Paleari ha blindato nei minuti finali la vittoria del Torino contro il Genoa; siamo d'accordo: Caprile è stato decisivo nella rimonta del Cagliari sul Verona. Ma c'era bisogno, dopo le parate, di esultare come bimbi davanti ai regali di Natale? Il fenomeno dilaga nella nostra serie A. All'estero è molto meno evidente - eccetto nel caso di Donnarumma (foto) in Premier...-. Si sa: i portieri con le loro prestazioni decidono nel bene le sorti della partita. Dopo di loro, il baratro. Insomma, un giocatore decisivo: ogni errore si trasforma in gol. Maledizione che colpisce solo chi sta a guardia della porta. Non a caso la sua figura ha ispirato romanzi, poesie, film che ne esaltano la funzione di anello decisivo della catena che può innalzarti in paradiso o trascinarti giù all'inferno. Ed è proprio in questa aurea di ineluttabilità che si riflette l'essenza del ruolo più serio del pianeta Calcio. Una serietà che dovrebbe contemplare anche quella dell'autocontrollo.
Invece non è più così. Tra i primi a inaugurare il prototipo del portiere che stringe i pugni e si "agita" dopo ogni intervento fu anni fa Stefano Sorrentino (Chievo). Poi il trend è diventato epidemico colpendo pure portieri che, per riconosciuta bravura, non avrebbero bisogno di esplicitare la propria soddisfazione. Ma ve li immaginate portieri mitici come Zoff e Albertosi agguantare un pallone all'incrocio, reclamando poi con gesti furiosi l'applauso del pubblico? I portieri autorevoli di un tempo sapevano gestire le emozioni: si gustavano l'adrenalina della parata miracolosa, introiettandole silenziosamente nella testa, nel cuore e nell'anima.
Senza gesti plateali. Anche da questa qualità è nata la leggenda (veritiera) della solitudine dei numeri uno. Ma quei portieri erano letteratura, nulla a che fare con i fumetti di oggi: belli, piacevoli, ma meno affascinanti.