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Plusvalenze false: ecco perché è (quasi) impossibile accertare il reato

L’ultima inchiesta della procura di Torino riaccende il dibattito sulla regolarità dei bilanci delle squadre di calcio. Tuttavia non è quasi mai semplice scovare un illecito: i motivi

Plusvalenze false: ecco perché è (quasi) impossibile accertare il reato

Se ci dovessimo basare esclusivamente sulle esperienze passate, probabilmente dovremmo giungere alla conclusione che – riguardo all’inchiesta sulle plusvalenze fittizie – anche questa volta tutto terminerà in una bolla di sapone. Del resto, con l’indagine che è stata recentemente chiusa dalla procura di Torino per falso in bilancio e false comunicazioni riguardo il calciomercato, la Juventus non è il primo club ad avere avuto addosso l’attenzione da parte della giustizia sportiva e di quella ordinaria per questo tipo di vicende. E, con tutta probabilità, non sarà nemmeno l’ultimo. Ma che cosa s’intende esattamente con il termine “plusvalenza” nel mondo del calcio?

Il confine labile della liceità

La plusvalenza non è altro che il guadagno che un club trae dalla cessione di un calciatore e, nel campionato italiano, rappresenta una delle principali fonti di entrate per le società. Questo perché, nella maggior parte dei casi – in assenza di grandi strutture di proprietà – i calciatori rappresentano in assoluto il loro bene principale. Il valore d’acquisto del giocatore comprato da una squadra (e concordato con la società che cede) viene messo a bilancio e distribuito per tutta la durata del contratto tramite il procedimento contabile dell’ammortamento. In questo modo il costo del calciatore viene spalmato a bilancio negli anni per il quale è stato ingaggiato. Più il calciatore si avvicinerà alla scadenza del contratto, più il proprio valore patrimoniale diminuirà avvicinandosi allo zero. Se il tesserato in questione verrà venduto dal club a un prezzo superiore rispetto a quello in bilancio in quel momento – generando così un guadagno – ecco verificarsi la plusvalenza.

Fino a qua nulla di strano: le plusvalenze sono uno strumento come un altro con cui trarre profitto e sanare i bilanci. Il discorso si fa più complicato dal momento in cui queste operazioni degenerano: ovvero quando le squadre si scambiano giocatori a prezzi ritenuti non proporzionati al loro valore reale, per sistemare artificiosamente i propri bilanci. In questo caso, la plusvalenza, in quanto fittizia, porta benefici puramente contabili: ossia non rende un club concretamente più ricco, ma serve (in genere) a mascherare perdite e quindi a migliorare apparentemente la salute finanziaria di un club. Con tutti i benefici che ne conseguono.

Come capire se ci sono reati o no

Le procedure più sospette che generano plusvalenze false sono quelle cosiddette “a specchio”. In questo caso non si verificano movimenti finanziari: due club si scambiano due giocatori, entrambi con la stessa valutazione “gonfiata”, per inserire nei loro bilanci due valori patrimoniali più alti di quelli che avevano precedentemente. In sostanza, le squadre coinvolte si scambiano giocatori che potrebbero anche avere una funzione marginale o irrilevante ai fini del rafforzamento della prima squadra, ma che nel momento in cui sono oggetto di scambio assumono valori patrimoniali più alti di quelli che attribuirebbe normalmente loro il mercato.

Ed è proprio qua che arrivano le vere difficoltà per gli organi inquirenti: chi può stabilire quale prezzo di vendita sia corretto, se non proprio i venditori e gli acquirenti? E chi può escludere il fatto che non si sia trattato di un errore di mercato? Tenendo anche conto che gli sbagli, nel contesto degli scambi del calciomercato, non sono poi così rari. Di fatto non esiste alcun criterio contabile, scientifico, che consenta di stabilire a priori quale sia il valore giusto di cessione di un giocatore. Non esiste un listino prezzi dei calciatori; non c’è una borsa. Qualsiasi tipo di valutazione è soggettiva e discrezionale e risulta complicatissimo per soggetti terzi andare a sindacare sull’adeguatezza del prezzo.

I precedenti

In sintesi: l’ostacolo principale per la magistratura, affinché riesca a scovare eventuali reati, rimane la soggettività di queste operazioni. A meno che, naturalmente, non emerga la precisa volontà dei dirigenti di una società di attribuire a un giocatore che loro valutavano – poniamo come esempio – un milione, un valore molto più alto di comune accordo con un’altra squadra per rendere più presentabili i bilanci e ridurre le perdite. E questo potrebbe avvenire tramite un documento o un’intercettazione. Non è un caso, quindi, che storicamente le indagini (siano essere sportive o ordinarie) non abbiano portato quasi mai grandi risultati.

Nel 2008 vennero indagate con l’accusa di plusvalenze false Milan, Inter e Genoa: tutte poi prosciolte proprio perché non fu dimostrato che le valutazioni fossero gonfiate. Mentre, sempre in passato, l’unico caso accertato e punito di plusvalenze fittizie tra Serie A e Serie B diventò concreto grazie a prove che resero inequivocabili le intenzioni dei dirigenti implicati. All’epoca coinvolse Chievo Verona e Cesena nel 2018.

La peculiarità del caso Juventus

Nel dettaglio relativo alla Juventus, gli inquirenti ipotizzano in questo momento i reati di: false comunicazioni sociali (art. 2622 cc), ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 cc), manipolazione del mercato (art. 185 D.Lgs 58/1998) e dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Il presidente Agnelli, il vicepresidente Nedved e l’ex direttore sportivo Paratici sono indagati per tutte e quattro le fattispecie di reato.

Sotto la lente d’ingrandimento è finita la presunta alterazione dei bilanci di tre anni – quelli approvati il 24 ottobre 2019, il 15 ottobre 2020 e il 29 ottobre 2021 – attraverso scambi tra giocatori e manovre sugli stipendi. Tra le accuse, c’è quella che si riferisce al fatto che i giocatori avrebbero rinunciato a una sola mensilità invece che alle quattro annunciate. Nelle scritture private e segrete rinvenute in uffici esterni alla società ci sarebbe stato l’impegno della società a pagare gli stipendi anche in caso di trasferimento del calciatore. Proprio su questo punto gli inquirenti volevano sentire Cristiano Ronaldo. Tenendo pure conto che la dilazione dei pagamenti sarebbe dovuta finire a bilancio come debito nell’anno di riferimento.

Le ultime novità sulle plusvalenze bianconere

Ed è proprio l’aspetto dei risparmi derivanti dai tagli delle mensilità che è sicuramente il più complesso. A marzo 2020, a pandemia appena iniziata, nessuna poteva ancora prevedere se e quando il campionato di Serie A sarebbe ricominciato. Così i calciatori rinunciarono a quattro mensilità: 90 milioni di risparmio teorici, da rinegoziare con i giocatori in caso di ripresa del campionato. Un fatto, poi, puntualmente avvenuto. Secondo la procura tre mensilità sono state pagate nel 2020. Un’iniziativa che avrebbe ridotto il risparmio a soli 20 milioni; e il club non lo avrebbe comunicato formalmente. Bisogna capire come l’esborso sia stato contabilizzato e quanto peso abbiano le scritture private con cui si garantivano queste mensilità. Sotto questo punto di vista, la Juventus ha già diramato un comunicato ufficiale in merito. Proprio nelle ultimissime ore, poi, la procura Figc ha chiesto a quella di Torino di conoscere gli atti finora mai trasmessi, come le intercettazioni di conversazioni che hanno portato agli avvisi di garanzia.

Solo il tempo potrà stabilire se, ancora una volta, finirà tutto nel nulla oppure no.

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