Poca Italia, un po' di fortuna e la beffa

Stadio semivuoto, Zaza-gol su rimpallo, pari subito in 10. E ora sediamoci davanti alla Tv

Poca Italia, un po' di fortuna e la beffa

nostro inviato a Torino

La Nazionale torna a casa e prende coscienza insieme a tutto il Paese di quello che l'aspetta. Un mese con il magone a guardare il Mondiale degli altri. Dopo un esilio di quattro amichevoli, quasi a voler metabolizzare il trauma, la prima partita giocata in Italia da quella infausta di San Siro contro la Svezia è un bagno di malinconia per pochi intimi. Ventimila persone sono proprio poche anche per un'inutile sfida come quella tra azzurri e orange, finita con un mesto pareggio firmato nella ripresa da un gol di Zaza e dalla risposta di tersta di Akè. Non dobbiamo solo ricostruire una squadra, una federazione, ma anche ricreare entusiasmo attorno a questa maglia. Non che i fedelissimi facciano mancare il tifo, ma la cornice è desolante con lo stadio mezzo vuoto anche per la scelta di Buffon di chiamarsi fuori in quella che sembrava una passerella creata ad hoc per il portiere. E quando entra Bonucci diventa deprimente perché il difensore del Milan è accolto da una selva di fischi, retaggio del suo tradimento alla Juventus. Eppure ieri indossava la maglia azzurra: se si vuole davvero ripartire, si deve crescere anche in cultura, uscire dalla logica retrograda dell'Italia dei comuni.

All'Allianz Stadium è come se si chiudesse un cerchio. Un anno e mezzo fa a Torino la Nazionale di Ventura pareggiò faticando contro la Spagna nelle qualificazioni Mondiali, spinta anche dal pubblico, tenendosi in corsa per andare direttamente in Russia. Se quella fu la gara dell'illusione, svanita in maniera traumatica poi in casa delle Furie Rosse, quella di San Siro è stato il momento dello smarrimento. Con gli ottantamila attoniti ad assistere al disastro. E ieri sera si è materializzato il grande incubo: un'estate da spettatori. E hai voglia per i 120 anni della Nazionale a scrivere su uno striscione in mezzo al campo il calcio siamo noi. Un assolutismo fuori luogo di questi tempi.

Sarebbe meglio correggere in c'è chi sta peggio di noi. Perché l'Olanda che scende in campo ci fa sentire un passo avanti in una sfida tra nobili escluse dal Mondiale, anche se poi si porta a casa il pareggio. Mancini, sotto gli occhi dell'ex ct Antonio Conte, in tribuna per l'occasione, cambia il terzo portiere in tre partite, e Perin sfrutta l'occasione in quello che sarà il suo prossimo stadio, già oggi potrebbe firmare con la Juventus. Invece il centrocampo ha già un punto di riferimento preciso: Jorginho, l'unico sempre titolare in questo trittico di amichevoli tra Arabia Saudita, Francia e appunto Olanda. Le chiavi del centrocampo sono dunque affidate al centrocampista del Napoli. Non è un caso che l'azione più bella nasca proprio sull'asse del Sarrismo. L'italobrasiliano pesca Insigne nella più classica delle azioni, telecomandata da Sarri. All'Italia manca solo il gol nel primo tempo, uno se lo mangia clamorosamente Belotti, innescato da Insigne, capitano per l'occasione anche perché Bonucci e Balotelli, con buona pace di Salvini per quanto riguarda Super Mario (comunque applauditissimo), restano a guardare. Nella ripresa meglio gli orange nella solita girandola di cambi.

Si va in vacanza con un gol di carambola di Zaza e il pareggio subito in dieci, con Mancini a dare disposizioni a Rugani e Romagnoli. Perché il nuovo ciclo si deve fondare sulla difesa che anche ieri ha ballato troppo anche prima dell'espulsione di Criscito subito dopo il vantaggio.

La linea verde tracciata da Mancini è la strada da seguire in contraddizione a quella federale con il ritorno al passato chiamato Abete, che ieri ha sentenziato: «Rappresento il vecchio? Constatazione legittima, ma decidono gli elettori». Più che altro ricorda Brasile 14, il ritiro assurdo di Mangaritiba. A settembre potrebbe riesserci lui alla guida del calcio italiano. Intanto ci sediamo a guardare il Mondiale degli altri. E sale il magone.

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