L' ultima tegola sul Genoa e sull'immagine del calcio in generale è il caso Portanova. Il centrocampista rossoblù sta mettendo in imbarazzo il club della Lanterna dopo la sua condanna in primo grado, con rito abbreviato, a 6 anni di carcere per violenza sessuale di gruppo, anzi di famiglia si direbbe, visto che al reato avrebbero partecipato anche un fratello e uno zio del calciatore. Imbarazzo genoano manifestato in tutto e per tutto dal comportamento del club di queste ore: in un primo tempo, infatti, il calciatore, non appena rientrato da Siena dove si è svolto il processo, è stato regolarmente aggregato alla squadra e convocato per la partita di ieri contro il Südtirol. Poi però, poco prima di scendere in campo, Manolo Portanova è stato fatto accomodare in tribuna, lasciando al nuovo tecnico Gilardino una spiegazione piuttosto vaga: «Una scelta tecnica. Ho voluto portarlo in gruppo con noi, a cena e a pranzo, ma non si è allenato, per cui è rimasto fuori».
Certo, trattandosi ufficialmente di motivazione tecnica, nessuno può interferire nelle scelte di Gilardino, ma l'impressione che si ha da fuori è che il Genoa si sia sentito un po' messo alle strette dalle reazioni indignate dei tifosi, soprattutto delle tifose, che sui social hanno attaccato la società per la scelta di trattare il giocatore alla stregua di qualsiasi imputato non ancora condannato in via definitiva. Giusta la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio (e i presumibili timori della società di subire una causa da parte del giocatore in caso di assoluzione definitiva), ma di fronte a un reato particolarmente odioso esistono anche delle scelte di opportunità che una società di questo livello deve saper adottare.
Come vengono sospesi professionisti in altri settori, in attesa della conclusione definitiva dell'iter giudiziario che li riguarda. Fermo restando il garantismo, e lo stipendio, che va comunque riconosciuto al calciatore.
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