Mettetevi nei panni di un campione abituato a stravincere e immaginate di trovarvi da un giorno all'altro alle prese con un infortunio che vi terrà lontani per mesi dallo sport, senza avere la certezza di tornare quelli di prima. Michael Doohan, pilota di riferimento della Honda prima di Rossi e Marquez lo ha vissuto sulla sua pelle. Nel 1992 era all'inseguimento del primo titolo iridato quando la sua corsa fu fermata da un infortunio, la frattura di tibia e perone della gamba destra. Aveva vinto cinque delle sette gare corse fino a quel momento ed un consistente vantaggio in classifica, così i medici dei GP lo ingessarono e gli diedero appuntamento al mese successivo. Non sarebbe servito molto di più per guarire, ma qualcuno lo convinse a sottoporsi ad un intervento chirurgico per accorciare i tempi di rientro. E anche per lui, come per Marquez, quello fu l'inizio di un calvario interminabile. Insorsero complicazioni post operatorie che misero a rischio non solo la gamba, ma anche la sua stessa vita. Il Dottor Costa lo rapì con un aereo medico e lo portò in Italia, dove per molti giorni non riuscì a capacitarsi di quanto era successo e di cosa lo aspettava. Era tutto troppo assurdo. Passò a letto intere settimane, ripetendosi ogni giorno che sarebbe tornato in moto in tempo per salvare il suo titolo. E ci provò. Quando vidi la sua gamba senza medicazione mi fu chiaro che non aveva speranza, ma che aveva cuore e coraggio da vendere. Passò attraverso altre delusioni e sofferenze: un nuovo intervento chirurgico, una nuova convalescenza, una lunghissima riabilitazione.
Prima di trovare un po' di solidità sulla gamba destra passarono quasi due anni, al termine dei quali Doohan non era più il ragazzo atletico della Gold Coast australiana, la sua camminata era zoppicante, il piede non si muoveva più, ma aveva sviluppato una tale forza interiore che per cinque anni nessuno fu in grado di portargli via il titolo.
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