Per fortuna ci ha pensato una donna. Al secolo Carolina Morace, che conosce il calcio, avendolo giocato, frequentato, studiato, capito, insegnato. Per fortuna ha detto poche ma intelligenti parole a chiudere una vicenda buffa immediatamente strumentalizzata e sventolata da chi non ha altro per la testa se non la propaganda del nulla. Riassunto, il direttore sportivo della Roma, Petrachi Gianluca, preso da furori, nel dopo partita tumultuoso contro il Cagliari, ha parlato e sparlato di tutto e ha osato dire che, a proposito di un fallo di gioco, «il calcio non è da signorine».
Non l'avesse mai pensato e poi pronunciato. La casta del metoo ha alzato il polverone, la frase è sessista, le parole offendono le donne, l'immagine è omofoba. Che palle! Petrachi ha detto altre cose, gravi e pesanti, insinuando complotti e affini, ritenendo, la sua squadra, perseguitata dagli arbitri. Ma l'accenno alle signorine appartiene a un linguaggio antico, normalissimo, banale ma effettivo ed efficace, come la stessa Morace ha chiarito, ribadendo che lei, come responsabile tecnico di alcune squadre femminili, ha rivolto alle sue calciatrici, molli nel gioco e nel comportamento, lo stesso rimprovero. Roba ordinaria, senza doppi sensi, senza offesa al genere, direi anche infantile. Ma ormai sono saltate le marcature, bisogna stare attenti a usare certi termini. La domanda sorge spontanea: come la mettiamo con il gioco maschio?
Alle reduci dalla partita di domenica sera, a San Siro, segnalo una frase di Gianni Brera che così spiegava
la differenza tra le due squadre, da sempre rivali: «L'Inter è una squadra femmina, quindi passionale, volubile, e pertanto all'opposto del pragmatismo che caratterizza la Juventus». In confronto, Petrachi è un dilettante.
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