I soliti sospetti. Lo ha detto anche Roger Federer, che inaugura il suo Australian Open 2019 in questa mattina italiana - la sera di Melbourne - con la freccia di favorito sulla testa e quota 100 tornei vinti nel mirino. A 37 anni: «Per la verità sono uno dei dieci favoriti, diciamo che sono tra i soliti sospetti. E questo alla mia età fa piacere». E si allarga un po' in realtà il Re del tennis: perché poi alla fine il grande circo delle racchette è ripartito dal primo Slam dell'anno con i soliti 3, i sospetti appunto, a dividersi la torta del probabile vincitore. Roger, Nadal e (soprattutto) Djokovic.
A patto di imprevedibili disastri notturni insomma (il match di Rafa era in programma mentre noi eravamo ancora in fase Rem), è dunque la stessa storia dell'ultimo decennio, quando le vittorie che fanno la Storia sono state divise tra loro, con Murray a fare capolino per comporre il mito dei Fab Four. I numeri d'altronde e i numeri nel tennis sono quasi tutto parlano chiaro: dei 40 Major disputati tra il 2009 e il 2018, i Magnifici Tre se ne sono aggiudicati 32, una cifra che diventa 35 aggiungendo come detto i 3 di Andy. Agli altri le briciole, con Wawrinka (3), Cilic e il lontanissimo successo di Del Potro come apostrofi improvvisi in un discorso senza possibilità di interruzione. Ancora oggi.
E quindi: il conto che abbiamo fatto dividendo in ere tennistiche gli ultimi 30 anni non lascia spazio al dubbio di aver vissuto un periodo eccezionale nella storia di questo sport. Nell'epoca Sampras, quella che tracciamo da 1989 al 1999, nonostante il talento assoluto di Pistol Pete ci sono stati ben 17 vincitori diversi nelle prove dello Slam. Che diventano 13 nel decennio successivo, perché quello è il momento in cui esplode Federer e poi la sua rivalità con Nadal. Poi ecco l'epopea Djokovic, e il momento più alto delle sfide tra i 3 grandi più 1 (Murray, appunto). Gli altri? Sono rimasti spesso a guardare. Così il numero scende a 7, e con due One Slam Winner. Certo, si dirà (a ragione): una volta le superfici erano meno omologate e c'era più spazio per tutti. Ma le statistiche sono comunque evidenti. Parlano, e parlano chiaro.
Ci risiamo, insomma: mentre il torneo femminile parte con l'incognita delle lune di Serena Williams, con gli interrogativi sul tramonto di Maria Sharapova e con Simona Halep che sarebbe la migliore di quel che resta di un talento generale perduto in un gioco uguale per tutte, quello maschile si ripresenta allo stesso modo. Si parla da un po' di Next Gen, ma fino a quando le cose si fanno serie. Ci sarebbe in giro gente come Zverev, che allenato da Lendl ha portato a casa le Atp Finals ma che quando si tratta di giocare sui 5 set sembra che si stufi; come Tsitsipras, sperando però che stanotte Berrettini lo abbia rimandato al prossimo tentativo; come l'incredibile Kyrgyos, che purtroppo butta via regolarmente quello che il Dio del tennis gli ha dato dal collo in giù. E così tocca sempre ai soliti, con un Djokovic che più che pensare a un possibile Grande Slam, si presenta con filosofia: «Quando ero infortunato al gomito ad un certo punto ho pensato di smettere. Poi, un giorno, facendo un sonnellino sulla spiaggia ho trovato nuova energia e ho capito: dovevo riconnettermi con la natura, con la sorgente che ci ha creati e ha creato tutto, passare da una vibrazione fisica a quella mentale.
Così ora continuo la mia evoluzione e la mia storia insegna alla gente che il potere è nelle nostre mani, che non importa avere successo per conquistarlo. Amo il tennis con tutto il mio cuore, ma non ti porti i trofei nella tomba».Che dire: nel suo caso, tra l'altro, ci sarebbero problemi di spazio.
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