Maglietta bianca. Sguardo a pezzi. Nessuna lacrima. Ore 18 e una manciata di minuti. Alex ancora lì. Dietro una scrivania a Bolzano. Quattro anni dopo. A parlare di doping. Il suo doping. O siamo di fronte a un grande coglione o siamo di fronte a un grande complotto. Stavolta non ci sono vie di mezzo. Alex Schwazer positivo a uno steroide anabolizzante dopo aver chiesto e ottenuto, unico al mondo, di poter essere controllato a sorpresa 24 ore su 24. Per dire. Trentacinque test in pochi mesi, uno su due dedicato agli anabolizzanti, controllato anche ieri mattina a Vipiteno, ore sette, dopo notte insonne seguita alla cartella ricevuta con l'esito degli esami, toc toc, sono un ispettore della Iaaf, prego pipì. Ci sarebbe da ridere, c'è solo da piangere. Ma Alex non piange. «Stavolta non devo chiedere scusa di niente, perché non ho fatto niente. Se sono qui a metterci la faccia è per rispetto di me stesso e di chi mi è vicino». Con lui la manager Giulia Mancini, con lui l'allenatore e paladino della lotta antidoping Sandro Donati, con lui i legali che annunciano battaglia e denuncia penale contro ignoti «perché qui c'è stata cattiveria, è una vicenda profondamente ingiusta e vogliamo la verità». Contro di lui, invece, c'è il mondo.
Martedì 21 giugno, ore 18 e 50, gli ispettori antidoping della Iaaf notificano tutto ad atleta e allenatore. L'esame sangue e urine effettuato a Vipiteno la mattina del primo gennaio, negativo all'epoca, riesaminato in maggio, il 12, è diventato positivo. La Gazzetta dello Sport pubblica tutto. È un risveglio traumatico. Per i sognatori e quelli del partito diamogli un'altra chance, per gli scettici e quelli del via per sempre dallo sport. Visibilmente scosso appare anche il presidente del Coni Giovanni Malagò che nel giorno della consegna della bandiera a Federica Pellegrini, si ritrova nel mezzo di una bufera, col cerino acceso, «certo che c'è qualcosa di molto particolare sulla tempistica...» dirà.
La sequenza è infatti sotto gli occhi di tutti: la bomba che scoppia nel giorno del Quirinale, la bomba che deflagra al secondo controllo, il 12 maggio, quattro giorni dopo la bella vittoria di Schwazer nella 50 km mondiale di marcia e pass per Rio conquistato, la bomba che scheggia i buoni sentimenti tredici giorni dopo la fine della squalifica per doping di tre anni e mezzo. Alex è positivo a scoppio ritardato. A un anabolizzante sintetico che serve a chi vuole muscoli e non contro la fatica dei marciatori. Questo spiega Donati, questo sottolineano i legali, questo racconta il ragazzo a cui non dobbiamo credere perché, come dice lo stesso Alex levandoci dall'imbarazzo, «capisco che credere a un ex dopato sia difficile, però Sandro Donati che ha dedicato la vita contro il doping è ancora qui accanto a me... E poi io quella stessa sostanza l'ho anche provata, prima dei Giochi di Londra, in quell'anno in cui ho provato di tutto e l'avevo messa da parte, non mi dava effetti. E allora ditemi voi, perché mai dovrei da una parte rendermi disponibile a controlli a sorpresa 24 ore su 24 e poi doparmi con qualcosa che non mi serve e che non mi aveva dato effetti?».
Un grande coglione o un grande complotto. Non se ne esce. Perché «tra l'altro la quantità rilevata è minima» precisa Donati, e perché «sarebbe stato facile presentarmi qui davanti a tutti voi e fare la figura di quello che si leva di torno e che non sapeva niente. Invece io non lo lascio, Schwazer paga le mie lotte, l'odio nei miei confronti per quanto fatto contro il doping doveva trovare una vendetta. Eccola». Ancora: «E le incongruenze sono tante, la tempistica è anomala e ci era stato chiesto da persone importanti di non vincere a Roma e La Coruña (2° nella 20 km), forse questo ha dato fastidio. E ricordo la settimana prima della 50 km, la Procura Antidoping aveva cercato di dimostrare che una prova su strada era stata una gara e non un allenamento e Alex ha rischiato che la squalifica s'allungasse... Abbiamo toccato molti interessi... l'indagine sul doping russo è partita anche da Bolzano». Parole pesanti, che più pesanti diventano e più, incredibilmente, lasciano aperto uno spiraglio: che davvero ci sia del losco, un complotto, roba brutta e alla fine Rio non salti. «È un incubo per me, è la peggior cosa che mi potesse succedere - confida Alex -, ma andrò fino in fondo.
Probabilmente qualcuno non vuole che vada alle Olimpiadi, a Roma c'erano state pressioni perché non vincessi. Però credo ancora di potercela fare, darò il 100% per chiarire e farcela» e se poi vogliono, fa capire, mi levo di torno.BCLuc
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