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Se 11 azzurri in piedi diventano ambasciatori del Paese reale

Prima la reazione contro chi fa lezioni di morale, poi la risposta del campo coi giovani a trascinare

Se 11 azzurri in piedi diventano ambasciatori del Paese reale

Ci sono due istantanee che rendono l'idea di quanto sia stata dura. L'abbraccio commovente tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli al fischio finale, il cerchio collettivo di tutta la squadra postato da Leonardo Bonucci. Il messaggio del vicecapitano è un richiamo all'unità: «La forza del gruppo è quando un elemento più un altro elemento non fa una somma ma un 1 più grande». Abbracci vecchi, abbracci giovani.

Passato lo spavento Austria, resta il sogno. E anche un'altra Italia. Giovane, decisamente giovane. Nata alla fine degli anni novanta: due gol di Locatelli alla Svizzera; la rete decisiva di Pessina al Galles; Chiesa e ancora Pessina che scardinano il muro austriaco. Nel tempio di Wembley ci si aspettavano le giocate di Verratti e i tiri a giro di Insigne. Così almeno funziona in un Paese che spesso si rifugia nell'esperienza, nella saggezza dei vecchi quando c'è da rimettere a posto le cose e non solo. Ma il pallone rotola in un'altra direzione. Uno scollamento certificato dalla diatriba sull'inginocchiamento contro il razzismo: i politici a invocarlo, i giocatori a non ritenerlo una priorità. Il Palazzo del potere scollegato dal Paese reale, rappresentato dagli undici ragazzi rimasti in piedi di fronte alle pressioni del politicamente corretto. Non è la prima volta che si tocca con mano l'incapacità di chi governa di intercettare il sentire comune, di ciò che sia importante e necessario in un determinato momento.

C'è riuscito, invece, Roberto Mancini perché i giovani non sono lì per caso, cardine della sua rivoluzione. I Chiesa, i Pessina e i Locatelli bruciano le tappe, non aspettano il loro turno, vanno a prendersi la vetrina alla prima occasione. Dovevano fare la gavetta per meritarsi un posto al sole ai Mondiali di Qatar 2022, invece dall'Olimpico a Wembley hanno detto di essere già pronti. La loro spensieratezza è stata fondamentale nel primo momento in cui la Nazionale ha avuto paura in questo Europeo. Il dentro o fuori era il primo esame e quando la fisicità dell'Austria ha preso il sopravvento, il timore di finire la favola è stato esorcizzato dai più giovani. La storia della Nazionale racconta di altre sfide simili, quando un comodo trampolino di lancio si trasforma in una trappola. Basti pensare alla Nigeria nel Mondiale americano oppure all'Australia nel trionfale duemilasei. Passare attraverso la sofferenza spesso ci ha fatto diventare ancora più grandi. E l'ottavo di Wembley può aver dato al gruppo un'altra dimensione dopo elogi e applausi. Ma il vestito dei favoriti spesso ci fa difetto. E da qui alla fine non ci dovrebbe più capitare di indossarlo. La sensazione è di essersi lasciati alle spalle il peggio. Con una certezza in più: Chiesa sembra nato per queste partite senza appello. Alla prima Champions con la Juve ha fatto tre gol negli ottavi con il Porto. È un'altra certezza per Mancini, consapevole che d'ora in avanti servirà ben altro. Si alza l'asticella per un'Italia sempre più extralarge con la matematica di Bonucci: uno più uno non fa due, ma un uno più grande. Come raccontato da quegli abbracci. Vecchi e giovani.

Negati dal Covid, riaccesi dagli azzurri.

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