La sfida di Ringhio: "Gattusizzare" il Milan con l'incubo degli ex

Un duro dal cuore tenero, con una vita in panchina tutta in salita. E un tabù da sfatare

La sfida di Ringhio: "Gattusizzare" il Milan con l'incubo degli ex

S otto lo stemma, insieme con i soprannomi (Raino in Scozia, Pitbull, Braveheart, Ringhio) c'è il motto della casata: Se uno nasce quadrato non muore tondo. E' anche il titolo della sua autobiografia, scritta troppo presto. Questa nuova avventura dove la mettiamo? Per Ancelotti è «un'impepata di cozze», forse il titolo che preferisce, visto che oltre a venderle, nella sua pescheria-ristorante di Gallarate, le produce pure. Ha cominciato a piedi nudi sulla spiaggia di Schiavonea, è andato in giro su una vespa traballante per le stradine umbre, ha resistito, a Glasgow, emigrante terrone, agli scherzi di Paul Gascoigne. Quello più pulito? Gazza si lavava i denti con il suo spazzolino.

Gennaro Ivan Gattuso, Corigliano Calabro 9 gennaio 1978, ha sempre vissuto una vita da mediano. Nato senza i piedi buoni, ma dotato di una feroce autocoscienza. «Quando vedo giocare Pirlo, mi chiedo se io sono un calciatore». Gigi Buffon lo racconta così alla vigilia di Italia-Francia, 9 luglio 2006: «Sento Gattuso che urla. Urlerà tutta la notte. Ringhio è sempre il mio vicino di stanza, in Nazionale. Di solito dorme, stanotte invece urla e ora sta dicendo delle cose proprio brutte, irripetibili».

La finale di un Mondiale è qualcosa che non capita tutti i giorni. Ma anche esordire sulla panchina di un grande club, quello con cui hai giocato dal 1999 al 2012 e vinto tutto, che ora galleggia malamente e ti convoca per rimetterlo in rotta, non è da meno.

Rino Gattuso detto Ringhio è stato il giocatore che tutti avremmo voluto in squadra, quello non che si estranea dalla lotta, ma ci entra a piedi uniti, metaforicamente e talvolta anche concretamente. Un duro. Però dal cuore tenero, proprio come nelle favole, direbbe Vasco Rossi. Sempre disposto a dare una mano, ha fondato la onlus Forza ragazzi, che aiuta i giovani con problemi in Calabria. Qualche mese fa ha detto: «La mia scuola calcio è un po' strana perché non paga nessuno. Però abbiamo un regolamento e delle norme comportamentali alquanto rigide». Rino, nella sua carriera, ha avuto una sola scivolata, quando in mutande intonò un coro offensivo contro Leonardo il giorno dello scudetto rossonero numero 18 (2011).

Rino ha quella faccia un po' così, di uno che ringhia in campo, ma fuori è riservato e cordiale. In Scozia, non ha incontrato solo Gazza, ma soprattutto sua moglie Monica, italo-scozzese di seconda generazione, da cui ha avuto due figli. Il contrario della wags tutta social e tv. Rino ha sempre avuto buoni rapporti con i giornalisti, da finto burbero. Forse perché ne ha una in famiglia, sua cognata Carla Romano, molto famosa oltre Manica: ha lavorato con la BBC e altre emittenti britanniche.

Una volta, un collega, durante una partita difficile degli azzurri se ne uscì con: «E' il momento di gattusizzare la Nazionale». L'idea che Rino ha sempre trasmesso è quella di forza, grinta, convinzione. Una vita in salita, ma in panchina ha sofferto di più, da Sion a Palermo, da Creta a Pisa. Su YouTube trovate lo sfogo leggendario che sta di diritto accanto a quelli di Trapattoni e Malesani. A Milanello, quando era un giocatore, divideva una tripla con Abbiati e Brocchi, suoi grandi amici. Il primo lo ha ritrovato come team manager, del secondo ha seguito il percorso, primavera-prima squadra.

La sfida che lo attende è la più difficile della sua vita: non finire a pezzi come gli altri compagni del Milan galattico, Seedorf, Inzaghi, Brocchi. Ma Gattuso lo sa. Una panchina non è tonda né quadrata. Ha la forma che gli dai tu.

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