SuperMario, Pirlo & C. Se per il Brasile i verdeoro siamo noi

Gli 80mila del Maracaná stregati dai nostri e da un calcio geometrico e ben rifinito tecnicamente. L'ovazione su tutti i più grandi giornali

SuperMario, Pirlo & C. Se per il Brasile i verdeoro siamo noi

Bisognava trasferirsi in Brasile per scoprire l'effetto che fa, ancora, il calcio italiano da quelle parti e in giro per il mondo. Un effetto contagioso a giudicare dalla prima esibizione col Messico, dal primo successo in terra santa (calcisticamente parlando) e dai commenti colmi di zucchero e miele per i due protagonisti azzurri trasformati in eroi della Nazionale, laggiù ribattezzata "Azzurra". O' Globo, che non è esattamente un giornale per pochi intimi, ha titolato con caratteri solitamente assegnati alle imprese di Neymar, «SuperMario», e ci vuole davvero poco per capire cosa volesse intendere.

"Onorato il Maracanà": se vi fosse in circolazione un titolo nobiliare calcistico, beh questo potrebbe essere iscritto su qualche muta di maglia, magari passiamo l'idea al presidente della federcalcio Abete e in particolare al suo dg Antonello Valentini, sensibile all'argomento. La ola del pubblico brasiliano - biglietti venduti 78.838 per i puntigliosi statistici -, le acclamazioni riservate a Pirlo ogni volta che veniva fischiata una punizione dal limite e poi, al cambio con Gilardino, l'ovazione dedicata a Mario Balotelli hanno avuto il potere magico di trasformare un successo inatteso in una parata trionfale. Sui giornali e in tv, naturalmente. Salvo ad ascoltare il "contrordine azzurri" appena le vicende della Confederations cup dovessero riservare qualche malinconica sorpresa. Che è sempre dietro l'angolo e comunque sistemata all'altezza della terza sfida del girone, la sera di sabato, a Salvador, con il Brasile. Tre in sei giorni sono un ritmo da mondiale e da squadra in grande forma: bisognerebbe sfruttare tutte le risorse del gruppo per uscirne vivi e pimpanti, oltre che qualificati.
"I muscoli di Balotelli e la testa di Prandelli": anche in Europa, il debutto della Nazionale ha lasciato di stucco molti critici, già pronti ai processi sommari esauriti solo con la censure per il gesto di Mario (maglia tolta con conseguente ammonizione). Lui, assolto da qualche sodale di fede rossonera («finché segna…, ha una forza fisica spaventosa»: dixit Montolivo) ma non dal suo Ct precettore, se l'è cavata con un «non sapevo», la dedica via tweet al fratello Drake e i complimenti della fidanzata Fanny, ammirata e inseguita dai fotografi per via di quel bolerino giallo canarino con cui si è presentata allo stadio. Basta poco per colpire la fantasia del popolo brasiliano, da sempre ammiratore convinto del bel gioco, piuttosto che di quello muscolare, tanto in voga nei nostri tempi. Per farsi capire meglio: il Barcellona di Guardiola e il Milan di Ancelotti al Maracanà e dintorni farebbero sfracelli, il Bayern di Monaco e il Manchester United meno, molto meno. Segno che nella patria del più grande di tutti i tempi, Pelè, è possibile parlare un linguaggio internazionale e riscuotere il consenso del pubblico esibendo un calcio geometrico e ben rifinito tecnicamente. E se l'Italia di Prandelli è riuscita nell'impresa, malgrado la condizione fisica precaria, forse il merito è anche di qualche giovane talento spuntato come un'orchidea su un prato di periferia, De Sciglio per esempio, ammirato e segnalato da moltissimi opinionisti di fama, e più in particolare dell'idea, semplice ma geniale, di mettere insieme due mini-blocchi (Juve e Milan più la scheggia romanista) in modo da saldarli perfettamente in una squadra unica capace di ritrovarsi nell'ora del bisogno e del ritrovato orgoglio.

Dev'essere per questo, per sentirsi un po' brasiliani dentro, che ieri, al risveglio, quasi tutti gli azzurri hanno attraversato lo stradone di fronte all'albergo e si sono sdraiati sulla spiaggia del "Posto 4" di Barra de Tijuca con moglie e bambini. Per smaltire le tossine d'accordo. Ma anche per misurarsi, come è capitato a El Shaarawy e soci, in sfide a beach volley.

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