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Dalla tedofora al sesso, quante prime volte

Le novità introdotte ai Giochi: dalla prima donna con la fiaccola, al matrimonio fra atleti, ai sex-test

Dalla tedofora al sesso, quante prime volte

Quel passo in più lo fece Norma Enriqueta Basilio Sotero, detta Queta. Il passo in più della donna nello sport, quando questa ventenne ragazza nata a Mexicali, nella Bassa California, cominciò a scalare, leggera nel passo, l'immensa scalinata che la portò al tripode olimpico, fiaccola fra le mani, per dare il via ai Giochi olimpici di Mexico '68. Per la prima volta, nella storia, una donna accendeva il fuoco olimpico. L'abbronzata pelle di Queta faceva contrasto con il tutto bianco del suo vestire: calzoncini, maglietta, scarpe e cerchietto ai capelli. E lei, studentessa in scienze politiche, specialista dei 400 piani e degli 80 ostacoli, non era certamente l'erede delle vestali greche dalle lunghe tuniche bianche ma, lassù davanti al tripode, si girò avvolta nella sua bellezza e regalò il respiro di un mondo nuovo, e forse più ammirabile, dopo i drammi che i Giochi, non ancora iniziati, avevano appena vissuto in Piazza delle tre culture. Sensi e controsensi di una Olimpiade destinata a lasciare il segno.

Raccontarono che quello fu «il simbolo del progresso delle donna messicana per la quale, tuttavia, andare al cinema da sola rappresentava ancora una frontiera». Il segno di un progresso che ancor oggi fatica ad accettare la parità. Per capire l'evoluzione vissuta a Mexico City bisogna risalire ai tempi della Magna Grecia. Antiche narrazioni raccontarono di Callipatera, madre di Pisirode, corridore alato come dicevano i suoi tifosi, che decise di infrangere le leggi, travestendosi da uomo per infilarsi tra gli spettatori ed entrare nello stadio dei concorsi olimpici: vietato alle donne. Pisirode vinse la corsa e la mamma, presa da un incontrollato entusiasmo, si strappò le vesti e rimase nuda. Le andò bene: non venne punita perché madre di un vincitore olimpico. Ma, da allora, si stabilì che tutti dovessero presentarsi senza vesti nello stadio. E alle donne venne, perfino, negato di assistere alle gare da una altura lontana.

Città del Messico ha arricchito la storia delle prime volte... ai Giochi. E torniamo al pianeta femmina: dal 1968 cominciarono i controlli del sesso per le donne. Non a caso le sorelle sovietiche Irina e Tamara Press, medaglie nelle precedenti olimpiadi, non si presentarono. L'anno prima Ewa Klobukowska, atleta polacca vincitrice di due medaglie a Tokyo 1964, fallì un sex test, benché fosse soltanto a vista. La lotta al doping cominciò ad autenticarsi proprio a Tokyo '64, con il primo test nella gara ciclistica della 100 km a squadre: vennero imposti una serie di esami, prima e dopo la corsa, ma nessun corridore fu trovato positivo. Invece, in Messico, Hans Gunnar Liljenvall, svedese del pentathlon moderno, fu il primo a venir pescato nel drug-test: eccesso di alcol. Era pratica comune, fra i pentatleti, frenare i nervi con un goccio di alcol, prima della prova di sparo. Ma Liljenvall, ottavo nell'individuale, pescato oltre i limiti, fece perdere il bronzo a squadre. Si difese dicendo di aver bevuto solo due birre. E quella fu la prima di tante autodifese, diciamo il copione scenico dei dopati, che il tempo insegnò a catalogare fra scuse originali o trovate fantasiose.

Fu necessario attendere fino ai Giochi di Mosca 1980 per trovare qualcuno che ammise le colpe fin a restituire la medaglia vinta. Ancora una volta il mondo delle donne fece lezione. E, nel caso specifico, non fu una storia facile: Christiane Knacke, 18enne bronzo nei 100 farfalla femminili per la Germania Est, subì l'effetto droga di Stato tanto da dover subire la prima di tre operazioni per riparare il danno causato al suo gomito dall'uso di steroidi anabolizzanti: aveva ossa ormai di cristallo. Nel 1989 si decise e fu tra le prime atlete a descrivere il sistema sportivo della nazione, il regime giornaliero a cui veniva sottoposta: 10 o 15 pillole di steroidi, iniezione di cortisone e procaina, e due volte a settimana endovene di un liquido sconosciuto. Nel '98 Christiane si presentò parte lesa in un processo contro allenatori dell'ex Germania est e due dottori accusati di aver danneggiato la salute degli atleti. Durante il processo, la Knache fece il grande gesto e rese volontariamente la medaglia.

Nella celebrazione delle prime volte non si può dimenticare l'evoluzione che regalò Los Angeles 1932. La città statunitense offrì il primo villaggio olimpico per atleti. Ci andarono solo i maschi. Le donne vennero ospitate in lussuosi alberghi. E il governo Usa volle mostrare la buona volontà sospendendo le proibizioni contro l'alcol per permettere a italiani, francesi e ad atleti di altri Paesi di bere vino. Sempre a Los Angeles, fece il suo ingresso il fotofinish nelle gare di atletica. La prima vittima un atleta americano. I giudici, rivedendo il finale dei 110 ostacoli, si accorsero che lo statunitense Jack Keller, premiato col bronzo, in realtà era arrivato dietro l'inglese Donald Finley. Keller, seppur deluso, cercò Finley al villaggio e gli consegnò la medaglia. Infine una storia d'amore.

A Tokyo '64 ecco il primo matrimonio, celebrato nel villaggio olimpico davanti alla bandiera a cinque cerchi: due atleti bulgari, la lunghista Diana Yorgova e il ginnasta Nikolai Prodanov, scambiarono l'anello. Gli sposi partirono in luna di miele per Kyoto, ma tornarono a Tokyo per la cerimonia di chiusura.

Non è dato sapere se la coppia abbia offerto confetti a tutti i presenti.

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