Totteide. Totale, completa, debordante. L'ennesima. Perché quello che si è visto ieri l'abbiamo già visto tante altre volte. Nei 23 anni e mezzo di carriera dell'ultimo numero 10 del calcio italiano ma soprattutto in questi ultimi mesi, quelli del suo secondo matrimonio con Spalletti. Che lo usa col contagocce e però, evidentemente, riesce a distillarne il meglio. Roma-Sampdoria come Roma-Torino del 20 aprile scorso; in quel caso Totti di gol ne segnò due, ma il concetto è il medesimo: quando entra lui la partita cambia verso e il lieto fine è d'obbligo, perché a colpi di bacchetta magica le tribolazioni giallorosse si trasformano in apoteosi.
La Roma di ieri, infatti, è andata di pari passo al cielo sopra alla capitale. In tre ore (tante ne sono passate dal calcio d'inizio al fischio finale) ha mostrato tutto il suo peggio e tutto il suo meglio, i due volti di una squadra che sicuramente non è completa come la Juve ma quando riesce a far suonare insieme tutti i suoi solisti produce una musica meravigliosa.
Quando c'è ancora il sole e il pomeriggio sembra una prosecuzione d'estate l'incornata di Salah, imbeccato da una pennellata di Perotti, pare il preludio a una partita senza storia, magari una vendemmiata come con l'Udinese. E invece la Samp c'è, reagisce. Soprattutto corre più degli avversari e alla fine di un primo tempo con tante occasioni da una parte e dall'altra si ritrova addirittura in vantaggio grazie ai gol di Muriel (gran tiro al volo incrociato, ma Szczesny è molto complice) e Quagliarella che sugli sviluppi di un corner approfitta di un'altra incertezza del portiere romanista.
Nel frattempo (all'incirca verso il 37') aveva iniziato a piovere. E poi a diluviare. E durante l'intervallo addirittura a grandinare, col campo sommerso dall'acqua e gli spogliatoi allagati. Tutto molto metaforico e rappresentativo del momento di una Roma che dopo l'eliminazione dalla Champions sembrava aver perso il filo del suo discorso.
Ma poi la tempesta si placa, dopo quasi ottanta minuti l'arbitro Giacomelli può far riprendere il gioco. Spalletti nel frattempo ha potuto pensarci su e si ripresenta con Totti e Dzeko al posto di El Shaarawy e Perotti, toccato duro nel primo tempo. Si capisce subito che la partita non è più la stessa, che con un direttore d'orchestra i solisti hanno cominciato finalmente a suonare, e all'inizio sono solo le parate di Viviano a tenere in vantaggio la Sampdoria. Totti verticalizza ogni pallone che tocca e alla fine riesce a mandare in porta anche Dzeko, che complessivamente pecca ancora di precisione ma allo scoccare dell'ora di gioco è bravo a fregare il portiere doriano dopo un controllo a seguire.
Da lì in poi, per una decina di minuti, la Roma è travolgente e meriterebbe il 3-2. Totti continua a sfornare assist e la Samp è alle corde. Poi però la partita rallenta e negli ultimi 10 minuti il pareggio sembra l'unico approdo possibile. Siamo al 92' quando Dzeko riceve un pallone spalle alla porta e viene (forse) toccato da Skriniar, che comunque andava dritto sul pallone: Giacomelli indica il dischetto, Spalletti dirà che «il penalty era netto e chi lo nega è di parte».
Francamente avrebbe fatto meglio a tacere, ma è chiaro che c'era un destino da compiersi e quel fischio maldestro faceva parte di un disegno superiore. Nel momento supremo Totti non trema: spiazza Viviano, va a prendersi l'abbraccio di una curva semivuota e poi si toglie altri sassolini dallo scarpino benedetto: «Sto bene di testa, la famiglia mi dà serenità e in campo si vede. Se sto così perché dovrei smettere?».
Tra due settimane compirà 40 anni. Spalletti dice che spera di «far crescere altri due o tre Totti perché abbiamo bisogno di giocatori con questa personalità», ma in fondo lo sa pure lui: di Totti, forse, non ne nasceranno più.
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