Maracanà, Wembley, San Siro, Comunale di Torino, non c'è più nulla della storia di Josè Altafini.
"Provo tristezza, i teatri di un tempo magnifico, fette di vita, ricordi, gol, folla, cartoline stracciate".
Il Maracanà è stato messo in vendita.
"Non era più quel monumento che mi mise paura la prima volta che tirai fuori la testa entrando sul terreno di gioco. Sembrava un mostro che stava per venirti addosso, per travolgerti e poi non aveva una fine, era l'infinito dello sguardo".
La prima volta con la nazionale in quel monumento...
"No, la prima volta fu quando avevo 12 anni, la finale contro l'Uruguay, duecentoquattordicimila spettatori, non so come ma c'era tutto il popolo brasiliano in quella partita maligna. Ci giocai poi, con la maglia del Palmeiras".
È stato lo stadio del fucibol, lo stadio del futuro.
"Macché, un casermone, spogliatoio malinconico, qualche panca per scambiarsi, attaccapanni e docce. Un massaggiatore, profumo di olio canforato".
Il primo gol con il nome di Maz(z)ola, con una zeta sola e sorda...
"Esatto, il fatto è che nella sede del Palmeiras c'era una fotografia del Grande Torino e l'allenatore delle giovanili disse che io assomigliavo a Mazzola, mi ribattezzarono pronunciando il cognome illustre con una sola zeta e così riportavano i giornali nei tabellini della partite. Una volta arrivato in Italia, dopo tre mesi scoprirono il mio vero cognome: Altafini. Comunque ho portato con onore e orgoglio il nome di Mazzola, sia per Valentino sia per i suoi figli".
Al Maracanà un gol all'Argentina e il raddoppio di Pelé.
"Cross di Pepe, io stoppo la palla pronto a calciare ma spunta come un puma Pelé e segna. Non male come concorrente in attacco, no?
San Siro è stato venduto ai due club.
"È davvero incredibile che due società storiche, riconosciute nel mondo per le loro vittorie internazionali, non abbiano un proprio stadio. Questa storia aggiunge rabbia alla tristezza. Per me San Siro resta lo stadio più bello del mondo per assistere ad una partita di calcio. In campo senti il pubblico vicino, hai addosso l'urlo della folla però il terreno di gioco è stato sempre brutto con la porta del freddo, alla destra delle tribune, quell'area coperta di segatura ma sotto c'era il ghiaccio, usavamo tacchetti chiodati, una volta Cesare Maldini si ferì profondamente al polpaccio, diciotto punti di sutura dopo un contrasto di gioco".
Il San Paolo di Napoli ora è Diego Armando Maradona.
"De Laurentiis ha ragione a definirlo un semicesso, era pessimo allora e tale è rimasto, il prato pieno di buche, il pubblico lontanissimo".
Il Comunale di Torino, oggi stadio Olimpico.
"Non ci gioca più la Juventus. Non ero più giovane, avevo trentaquattro anni, quando arrivai a Torino, Trapattoni mi metteva in panchina. A Villar Perosa, durante la vigilia di una partita di campionato, un cronista mi domandò: "Josè, giochi un tempo?", risposi: "Un tempo giocavo"".
Ma su tutti Wembley, lo stadio dell'impero britannico, la finale di coppa dei campioni del 63, Milan-Benfica, due gol di Mazzola-Altafini.
"Un sogno, prato verdissimo soffice, erba tagliata a perfezione però quella pista per le corse dei levrieri teneva lontanissime le panchine e così non riuscimmo a sentire le parole di Rocco. Ci pensò Cesare Maldini a sistemare le cose".
In che senso?
"Il Benfica passò in vantaggio con un gol di Eusebio, allora Maldini cambiò la marcatura su quel campione, disse a Benitez di lasciare il compito a Trapattoni e vincemmo".
Memorie mai cancellate, anche il mondiale del 58 in Svezia.
"La federazione decise di farci seguire da uno psicologo, fummo i primi nella storia a sfruttare quell'esperienza, ricordo che qualcuno di noi protestò dicendo "non siamo mica matti da avere bisogno di uno psicologo", fu, invece, un allenatore in più, perfetto per farci tirare fuori le cose migliori, di carattere, di sicurezza".
Memorie di mille partite e di gol fantastici, uno in particolare?
"Ho un record personale che nessuno potrà mai battere".
Per esempio?
"A San Siro ho segnato 4 gol all'Inter, 4 gol alla Juventus e 4 gol al Santos. Chi altro potrà fare una cosa del genere?".
Quanto è importante lo stadio per la prestazione di un calciatore?
"Non molto, corri, calci, dribbli, senti il pubblico ma quello che conta è il campo, il prato, quello determina la qualità del gioco, il tocco, il dribbling, la corsa".
Scherzi del calcio, un italiano allenatore del Brasile.
"In questi giorni, l'ex portiere Leao ha criticato pesantemente la federazione per avere affidato la nazionale a Carlo Ancelotti. È stato travolto e sepolto dalla reazione dei tifosi, della torcida, della stampa, Carlo è un grandissimo professionista, educato, esperto, sa gestire il gruppo. Mi ricorda Osvaldo Brandao, il mio allenatore al Palmeiras, lui si avvicinava e sussurrava, senza che gli altri potessero sentire le sue parole, spiegava quale era stato il mio errore, dove avrei dovuto migliorare. Ancelotti può allenare dovunque, è come Pavarotti che poteva cantare in qualunque posto del mondo".
Se Mazzola Altafini potesse scendere di nuovo in campo, quale maglia vorrebbe indossare?
"Quella del Bologna. Una città che sa vivere, gioviale, un pubblico esigente ma sportivo. Segnai due gol in Bologna-Napoli (14 dicembre del 1969), il primo fu una conclusione ordinaria, poi ci fu il pareggio di Savoldi, il mio secondo gol fu, effettivamente, spettacolare, stop, palombella sull'avversario, tiro immediato, palla nella porta di Adani (Amos ndc), per cinque minuti il pubblico mi applaudì, non ho mai cancellato quel momento".
Il calcio di oggi?
"C'è una cosa che non tollero, i calciatori che entrano in campo e pregano, magari rivolti verso la tribuna. Lo facciano nello spogliatoio, in silenzio, lontano dalla gente, il torero non prega mai nell'arena. Io ho un santo protettore, non ha un nome, non lo conosco ma so che c'è, mi segue, mi ha aiutato nei momenti difficili, è il mio spirito guida".
C'è un Altafini in circolazione?
"Non amo i paragoni. Di certo Haaland è un fenomeno, di forza, di gol. Non ha qualità tecniche come i grandi fuoriclasse ma la sua potenza esplosiva e i suoi numeri di goleador sono indiscutibili. Domani a San Siro, in Italia-Norvegia, lui sarà uno spettacolo, un incubo per qualunque difensore".
A proposito di incubi, Altafini sogna ancora?
"Sempre, gioco e faccio gol, partite incasinate, poi mi sveglio e Anna Maria, mia moglie, tra l'altro tifosa del Napoli, mi dice che davo i numeri".
Bei numeri, Josè.