Un anno fa Fausto Gresini presentava le squadre nella sua Imola, in autodromo. Il Covid era alle porte ma ancora non sapevamo che avrebbe sconvolto le nostre vite, ancora eravamo liberi di muoverci e ritrovarci. La sera prima di quella presentazione la passammo al ristorante a perderci in chiacchiere, a guardarci indietro, a quando era un giovanissimo campione del mondo e io uno di quelli che ne raccontava le vittorie. Le prime erano arrivate in campo nazionale, più grandi di lui, che si presentava in circuito con la A112, una MBA 125 sul carrello e il pollo arrosto comprato in rosticceria che restava caldo nel baule. Se la sistemava da solo, quella moto: aveva lasciato presto gli studi per lavorare come meccanico in una piccola officina. Gli piaceva la tecnica, come a molti piloti della sua età: passavano ore a parlare di cilindri, rapporti del cambio, carburazione. Tu quella curva in che marcia la fai? E in fondo al rettilineo dove freni? C'era cameratismo, anche amicizia. Presto arrivarono i successi mondiali e l'ingresso nel Team Italia, squadra voluta dalla Federazione Italiana per valorizzare i nostri giovani. In sella alla Garelli si laureò campione del mondo nel 1985 e poi di nuovo nel 1987, anno in cui soltanto il problema tecnico che lo costrinse al ritiro nell'ultima gara gli impedì di fare l'en plein: undici vittorie su undici GP.
A quelle stagioni trionfali ne sono seguite altre ad alto livello con la Honda del Team Pileri, in squadra con Capirossi, che aiutò con grande generosità a vincere il primo titolo nel 1990 per poi tentare di soffiarglielo l'anno seguente, finendo alle sue spalle. C'era già Nadia, nella sua vita, la bella ragazza dai capelli ricci moglie e madre dei suoi figli. Anni dopo di Capirossi sarebbe stato il team manager, facendogli posto nella sua squadra quando l'Aprilia lo scaricò a fine 1998. Insieme contesero a Valentino Rossi il titolo della 250 che sarebbe arrivato un paio di anni dopo con Daijiro Kato, giapponesino affidatogli dalla Honda cui fu fatale un guasto tecnico alla prima gara in MotoGP. Era il 2003 e Fausto visse per la prima volta il dramma che un amaro destino gli avrebbe fatto rivivere nel 2011 a Sepang, quando a perdere la vita fu Marco Simoncelli. Due piloti destinati a un grande futuro, due ragazzi speciali di cui si sentiva un po' fratello maggiore e forse un po' padre, se n'erano andati inseguendo il loro sogno di campioni. Momenti terribili, ma l'amore per la moto, per le corse, ha spinto Fausto ad andare avanti, a tenere in campo quella squadra costruita nel tempo.
Tutto era cominciato nel 1997, anno in cui tornò al Mondiale non più da pilota ma da manager, con la Honda 500 bicilindrica e il brasiliano Alex Barros, il primo mattoncino di una carriera luminosa che ha visto il Team Gresini arrivare a giocarsi il titolo con squadre ufficiali, quelle diretta emanazione delle Case Costruttrici, la Honda, la Yamaha, la Ducati. Non è un caso che per tre anni consecutivi, dal 2003 al 2005, un suo pilota (prima Sete Gibernau e poi Marco Melandri) sia stato vicecampione del mondo. E insieme con Simoncelli avrebbe potuto forse arrivare ancora più su, se Marco fosse rimasto su questa terra.
Fausto aveva idee chiare e un grande amore per quello che faceva. In circuito era sempre di corsa, entrava e usciva dai box di corsa, appariva in hospitality di corsa, stringeva mani, dispensava sorrisi, beveva caffè, tutto di corsa ma senza far mancare un saluto, una battuta. Alle volte riusciva a fermarsi per mangiare qualcosa seduto a tavola e allora ironizzava sui chili di troppo che aveva messo su e sul suo impegno a ributtarli giù. Aveva tutto sotto controllo e al tempo stesso sapeva di avere messo insieme le persone giuste, così come sapeva cosa spettava unicamente a lui: la scelta e la gestione dei piloti. Qui metteva in campo la sua intuizione, il saper vedere il talento e saperlo valorizzare. «Il team manager - diceva - entra in gioco quando ci sono dei problemi, e l'essere stato pilota aiuta, perché capisco perfettamente le situazioni. L'averle già vissute sulla mia pelle mi aiuta a trovare le soluzioni. Bisogna essere un po' psicologi, saper toccare le corde giuste»
Passo dopo passo Gresini è arrivato a schierarsi in ogni categoria, non solo nella MotoGP dei grandi nomi, ma anche nelle classi in cui crescono i giovani campioni e perfino nella MotoE, la GP elettrica.
Per affrontare questa sfida a tutto campo schierava una squadra di 70 persone, bilici, furgoni e furgoncini, una flotta abituata ad attraversare l'Europa per allestire ad ogni gran premio box personalizzati e hospitality capaci di sfamare centinaia di invitati, prima che la pandemia chiudesse al pubblico le porte dei circuiti. Quando torneremo a varcarne i cancelli, ci peserà non poterlo riabbracciare.
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