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"Tutto il peso dell'oro l'ho sentito per mesi. Ora voglio il bis storico"

L'ultimo azzurro campione olimpico si carica. "Nessuno si è mai confermato in slalom..."

"Tutto il peso dell'oro l'ho sentito per mesi. Ora voglio il bis storico"

Giuliano Razzoli, 2022 anno olimpico per gli sport invernali. Dal tuo oro di Vancouver 2010 è passato tanto tempo, ma partiamo subito da lì: quella vittoria è stata solo un piacere o a volte anche un peso?

«L'unico peso, che però definirei piuttosto un leggero stress, sono stati i mesi subito dopo la gara. Per il resto solo un piacere, perché quando sono in partenza e lo speaker annuncia il mio nome, ci associa sempre il titolo di campione olimpico. E io mi carico. Quella vittoria mi ha sempre dato sicurezza e consapevolezza. E sa una cosa? Non è mai successo nella storia dello sci che un campione olimpico di slalom confermasse il suo titolo. A Pechino potrei essere il primo, anche perché il campione 2014 e quello 2018 si sono ormai ritirati. Sarà dura, forse sto solo sognando, ma mai dire mai. Per prima cosa dovrò pensare a qualificarmi, poi ad abbassare il numero di partenza e ad andare forte. All'Olimpiade, si sa, contano solo i primi tre posti».

La tua stagione è partita molto bene: nono a Val d'Isère e settimo a Campiglio, partendo indietro.

«Ma sì, dai, meglio del solito. Io ci metto tanto a carburare, sono un po' un diesel. Gennaio sarà un mese fondamentale, come sempre, e io sono fiducioso, perché sento di avere margini di miglioramento. Ormai mi conosco abbastanza, l'esperienza non mi manca ed è molto importante, anche nella tattica di gara».

È dal 2014 che non apri un cancelletto olimpico...

«Già, nel 2018 mancai per problemi fisici e ora sono super motivato: vorrei tanto esserci, rappresentare l'Italia e regalare emozioni».

Come definiresti la tua gara, lo slalom?

«Severo e cattivo. La convinzione è importantissima, tutto deve funzionare in quel preciso momento, puoi essere il più forte, ma spesso non basta. Bisogna saper dosare il rischio, essere veloci, ma arrivare al traguardo».

Che limiti ha uno sciatore di 37 anni?

«La differenza la vedo soprattutto durante l'estate, quando si mettono le basi con il lavoro fisico. Lunedì sono pimpante, martedì sto bene, mercoledì comincio ad accusare, giovedì e venerdì devo andare a letto alle nove. Morale: anno dopo anno mi stanco prima e ho bisogno di più riposo. Quando non basterà andare a letto alle 9 sarà l'ora di farsi delle domande, perché non avrò più armi segrete. Per fortuna per compensare l'avanzamento degli anni si sono inventati l'esperienza, che nello sci, come dicevo, può fare la differenza».

Alex Vinatzer potrebbe quasi essere tuo figlio, che effetto fa?

«Alex è del 1999 e non mi crea problemi, sono quelli nati nel 2000 a farmi più effetto: a Val d'Isère me ne partiva uno davanti e uno dietro, allora ho fatto due conti e mi sono detto: urca, è un po' che sono in giro! Ma sfidare 'sti ragazzini mi piace e mi stimola».

Quanto è importante avere in squadra un giovane forte come Vinatzer?

«Tecnicamente non tanto, perché io non posso e non riesco a copiare quel che fa lui, siamo troppo diversi e sarebbe assurdo ora rivoluzionare la mia sciata. Mentalmente invece è importante, perché avere un riferimento come lui fa bene, in allenamento tiene alto il livello».

Largo ai giovani, si tende a dire in ogni ambiente, dallo sport al lavoro. Cosa ne pensi?

«Parlo per il mio mondo e dico che non ha senso, se i giovani vanno meno forte dei vecchi. Quando ero giovane io nessuno mi ha mai lasciato il posto, ho dovuto conquistarmelo».

Nella tua lunga carriera hai avuti momenti difficili, anche a causa di tanti infortuni, e spesso sei stato preso di mira, criticato, messo da parte. Come sei riuscito a uscirne sempre a testa alta?

«Sono sempre stato il primo critico di me stesso e ho sempre ascoltato le persone che sapevo in grado di aiutarmi. Quelle che davano addosso senza avere le competenze per giudicare non le ho mai ascoltate o lette. Mi sono sempre posto obiettivi alla mia portata e nei momenti critici, quelli da dentro o fuori, mi sono salvato con la consapevolezza di saper rendere al massimo in gara, dote che mi ha dato fiducia e spinto a non mollare mai».

Vantaggi e svantaggi dell'essere uno sciatore dell'Appennino?

«Il vantaggio è quello di essere l'unico e quindi di essere seguito da una marea di affetto. Dai tempi di Alberto Tomba l'Emilia ha scoperto la passione per lo sci e da noi la passione è vera, forte e contagiosa! Lo svantaggio non saprei, ma forse il fatto che nessuno mi è mai venuto incontro. Politicamente contiamo poco nel mondo della neve, ma fa niente, l'affetto della mia gente compensa tutto».

La cosa più brutta e la più bella della vita da atleta?

«La brutta è stata la gestione degli infortuni, ho iniziato presto ad aver problemi e mi è davvero pesato passare tanto tempo con dottori e fisioterapisti. Quella bella è facile, è tagliare il traguardo, alzare lo sguardo verso la tribuna e vedere il mio fan club esultare o in ogni caso fare il tifo per me. Adesso purtroppo è difficile venire alle gare e allora il momento bello è arrivare e voltarsi per vedere il tempo sul tabellone. L'emozione fortissima della gara mi manca tanto durante i mesi di preparazione e credo che quando smetterò sarà la cosa di cui sentirò più la mancanza. Un tempo, per sopperire a questa dipendenza da adrenalina, andavo forte in macchina, spesso esageravo, adesso mi sono calmato, sono diventato più saggio».

Come immagini il tuo futuro?

«In primavera inaugureremo l'Acetaia Razzoli. Con il prodotto ci siamo, io ho un buon palato e abbiamo un bravo tecnico, ci organizzeremo pian piano, serve esperienza per le vendite.

È una passione che potrebbe diventare il mio lavoro, al momento ho poco tempo libero, ma ci tengo e darò il massimo anche qui».

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