di Roberta Pasero
Il Salone di Ginevra che non c'è è un po' come l'unbirthday di Lewis Carroll. Il non compleanno di «Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò». Però qui i protagonisti non sono letterari. Qui siamo noi: giornalisti, manager automotive, blogger e influencer vari. E Maurice Turrettini, presidente di un Salone che comunque passerà alla storia. Tutti contagiati da Covid-19, il «Coronavairus» come lo pronuncia il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, quando «vuò fa l'americano».
I sei giorni che sconvolsero il mondo automotive iniziano domenica. L'Italia si sveglia contaminata e tutto va in freezing. Cancellati eventi e prove, il primo quasi in diretta, all'happy hour: niente anteprima di Jaguar F-Type alla Milan Fashion Week. Poi, una dopo l'altra, le mail laconiche: «In ottemperanza alle disposizioni del ministero della Salute...». Mercedes, Mini, Volvo, Fca, Citroën. Deleted.
Il nostro mondo entra in crisi. Niente prove. Per gli influencer no contorsioni video a favore di luxury cars. Per molti un liberatorio: «Meno male che c'è Ginevra». Illusione da espace d'un matin. Perché il virus viaggia più veloce di una hypercar. Il primo a capirlo è Pierluigi Bonora, responsabile delle nostre pagine automotive e del sito Fuorigiri. Lunedì 24 febbraio, alle 14 e 26, ci arriva la sua mail: «Solo per comunicare che ho cancellato ora la mia presenza a Ginevra». E poi sul sito: «Chiedo ai collaboratori di Fuorigiri di fare altrettanto».
Un rischio andare. Per la salute ed eventuale quarantena in Svizzera. Ora dopo ora altre testate stabiliscono di non mandare giornalisti o di lasciarli liberi di decidere.
Ammetto che sono perplessa. Perché toglietemi tutto, ma non il Salone di Ginevra. Che per me è anche un luna park. Dove poter pilotare l'F1 Renault almeno per qualche lap virtuale. Sostituirmi col photoshop a Steve McQueen sulla locandina di Bullitt, sfrecciare su prototipi di monopattini volanti. C'è l'ordine di scuderia, certo, ma non è «politico», è di buon senso. E io non ne ho mai molto. E non temo quarantena: vero che 14 giorni di Toblerone mi avrebbero sollevato oltre il morale anche il peso, però posso permettermelo.
Intanto, via a telefonate compulsive. A gruppi di WhatsApp per capire chi tra noi andrà a Ginevra, comunque. Prevedendo l'imprevedibile a modo nostro. C'è chi vuole avvisare la Farnesina prima di partire; chi è convinto, in caso di quarantena forzata, di venire liberato con un blitz alla «Salvate il soldato Ryan»; chi vuole geolocalizzarci tutti tramite App. Provateci con me, se ci riuscite. E poi si materializzano i free lance che si offrono per scrivere di un Salone che comunque va raccontato. Dunque? Pierluigi Bonora e noi del Giornale non siamo giornalisti che guardano il mondo da un oblò, quindi dopo molte riflessioni si decide: chi va sono affari suoi.
Intanto, inizia la conta per capire chi ci sarà e chi no tra i manager italiani dei brand. Ed è un po' come in «Dieci piccoli indiani». DS sì e Mazda no, Mercedes sì, Bmw no, Fca sì, Hyundai, Kia e Goodyear no. Chi manca? Renault li sento io, Porsche sentili tu. Per tutti deadline venerdì mattina. Conferenza stampa streaming del Consiglio federale svizzero. E la decisione del mille e non più di mille.
Dunque, liberi tutti? Eh no. Entriamo in un altro loop. Embarghi sì embarghi no.
E unveiling in streaming e interviste in chat. Nemmeno fossimo nell'outback australiano.Ma come dice mesto Turrettini nella conferenza stampa virtuale d'addio: «C'est la vie». Mais oui. È la vita che a volte ci manda proprio... fuorigiri.
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