
RIO DE JANEIRO - È il quarto taxi che dice di no, con cortesia, con dolcezza, con un pizzico di rammarico. La richiesta è sempre la stessa. Barra da Tijuca. Parque Olimpico. Solo il quinto accetta, per senso del dovere, ma con il sospiro di una maledizione. Il viaggio è piuttosto lungo, ci vuole almeno un'ora, di strade vuote e veloci. Se c'è traffico puoi metterci una vita. Il tassista ha i capelli bianchi, tifa Botafogo, e sul cruscotto ha piazzato un televisorino. Sta seguendo la ginnastica. Qui incanta, soprattutto adesso che del calcio non ti puoi più fidare, perché quell'uno a sette contro la Germania ai mondiali di due anni fa è un'umiliazione da pagare a rate, come un mutuo. Sono 30 anni che fa il tassista ma quando si avvicina a Barra comincia a perdersi. È come in un videogame dove all'improvviso spunta un muro o un posto di blocco che devia la corsa. Ci si perde in un labirinto. Sfugge uno svincolo per il Parque, e qui lui appare decisamente preoccupato, perché per rientrare bisogna fare il giro del mondo. Decide di fare una cosa folle, andare a marcia indietro per una trentina di metri, un centimetro alla volta, mentre le auto ti sfiorano ad alta velocità, per riprendere l'uscita. Chissà se i santi sono svegli alle cinque della sera? Sembra di sì. Si imbocca lo svincolo e si riprende il tragitto. Solo che a un certo punto non c'è più via d'uscita, l'unica è farsela a piedi. "Mi dispiace". "Ma non accompagna mai nessuno alle Olimpiadi?". "Le Olimpiadi? Quelle vere sono altrove".
Ogni giorno lo stesso dubbio, con lo sconcerto che aumenta cOn il tempo che passa. Ma chi risiede a Rio non li sente questi giochi? Non li vive? Gli stadi sono mezzi vuoti. Non c'è calore, non c'è allegria. Qui, nel quartiere ristrutturato per Rio 2016, vedi gli americani e i giapponesi, i cinesi e gli europei, vedi le facce dei giornalisti e i cameramen che caricano sulle spalle bagagli di telecamere e attrezzature, vedi i turisti e i brasiliani di San Paolo o di qualsiasi altro posto di questo immenso Paese. Vedi chi ha speso le vacanze per seguire le Olimpiadi. Non vedi loro, quelli che qui ci vivono, il popolo carioca. La festa non è qui.
È altrove, appunto. Devi arrivarci con lo stesso sguardo dei portoghesi che attraccavano al molo Pharoux e camminare verso la chiesa della Candelaria. Qui Rio sogna il suo futuro. Qui, all'ombra del Museo de Amanha, appena aperto, con la vela al vento disegnata da Santiago Calatrava, non c'è neppure spazio per camminare, ogni angolo è illuminato da un maxischermo e da più di dieci giorni va in scena la scatenata festa olimpica carioca. Voci, maree giallo oro che si esaltano per un tuffo, un salto, una finta di Marta, il passo di Bolt, un sollevamento di pesi, una demi-volée. Si balla oltre la notte, si mangia, ci si riconosce, ci si dà appuntamento, si resta in silenzio ad ascoltare la tristezza andare via di una cantautrice tatuata, ci si perde in un frammento di carnevale, con mimi, travestiti, giocolieri ed infradito. Qui ogni donna è Gabriela. È lei. È pure lei. Eccola ancora spuntare di lì, senti il profumo del garofano e il colore della cannella. E un va e vieni continuo rende vivo il Boulevard olimpico. È qui insomma che riconosci il passo magico della ragazze di Jorge Amado e qui che vive Chico Buarque e ti sembra quasi di sentirlo suonare. Ma è come se il realismo magico avesse perso il suo sapore leggendario, per incarnarsi in qualcosa di più dozzinale, il realismo virtuale.
Questo è il Barrio Rio Centro. È qui che la cidade maravilhosa è nata, fronte al porto, e da qui adesso non se ne vuole più andare. Perché questo è l'unico regalo che la gente di Rio riconosce alle Olimpiadi. Il vecchio centro era zona morta e solo adesso lo hanno riconquistato. Lo sentono loro e lo vogliono vivere. Sono finalmente orgogliosi di perdere la testa, di sfrenarsi e innamorarsi per i loro Giochi olimpici. Ma se li seguono in tv, in piazza, davanti a un caleidoscopio di mega schermi. È come se quello che accade a Barra fosse il set di una sorta di Grande Fratello, qualcosa da spiare mentre tutto intorno esplode una realtà lontana dello scenario olimpico.
È lo straniante paradosso di Rio 2016. Adesso sai dove si è nascosta la festa. La città meravigliosa canta e balla tutte le sere, ma è una finestra affacciata sul virtuale. Ed è per questo che i tassisti non sanno dove andare.
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