La verità ribaltata di Mihajlovic

Si sono ribaltati i ruoli, caro Sinisa, non esiste più la Juventus padrona, se non degli scudetti, così come non esiste più il Torino dei poveri con il cuore a pezzi

La verità ribaltata di Mihajlovic

Sinisa Mihajlovic è un uomo intelligente. Sa quello che dice, ha vissuto una vita piena di cose, la guerra nella sua terra, il padre condannato a morte dallo zio Ivan a sua volta graziato dalla tigre Arkan. Sinisa Mihajlovic ha vissuto mille derby, quello definito il più cattivo del mondo tra la Stella Rossa e il Partizan, e poi a Genova, a Roma, a Milano. Ieri ha scaldato quello di Torino con una frase che riempie la pancia dei tifosi: «Il popolo contro i padroni». Parole gonfie di retorica. Ma Sinisa Mihajlovic ha ragione. Il padrone si chiama Urbano Cairo che lentamente ha preso in mano l'editoria che appartenne e apparteneva alla famiglia rivale, è diventato un imprenditore di quelli tosti e non da esibizione. Il popolo è quello formato da tredici milioni di tifosi juventini. Si sono ribaltati i ruoli, caro Sinisa, non esiste più la Juventus padrona, se non degli scudetti, così come non esiste più il Torino dei poveri con il cuore a pezzi. Il derby di stasera è una partita di football e non lo scontro di fazioni sociali. Non è più nemmeno una sfida tra identità del territorio, la Juventus si è globalizzata e lo stesso Toro ha perduto il suo connotato cittadino e nazionale, pieno di foreign players che ne hanno alzato la qualità. Il temperamento di Mihajlovic è la facciata A del disco poco eccitante di Allegri il quale ormai recita la stessa scenetta finale in ogni partita, fugge in preda a crisi furiosa dopo aver detto, però, ai suoi per un'ora abbondante almeno, di mantenere la calma. Due allenatori diversi in tutto per due squadre divise dalla classifica e dalle vittorie sul campo. Belotti è l'uomo che può far saltare il banco ma dall'altra parte ci sono un paio di figure adatte alla bisogna, Dybala e Mandzukic, quest'ultimo un croato che vive il suo derby personale contro la coppia serba Mihajlovic-Ljajic. Posso aggiungere Pjanic, bosniaco, l'acqua bolle nella pentola del derby. Partita calda di suo, senza bisogno di ulteriori fiamme. È storia antica, dai tempi di Gustavo Giagnoni che, con il suo bizzarro colbacco, trasformò il derby, quello di allora, sì, veramente, nel duello di due realtà sociali ed economiche diverse e opposte. Da sempre è stata lotta furibonda, Ferrini che insegue e scalcia Sivori, provocatore indio, Salvadore che spinge fuori dalla mischia Vernacchia nemmeno chiamandolo per nome ma per maglia: «Tu, numero 14 sta fuori!». «Derby? Lo vorrei cancellare» diceva Boniperti che lo soffriva, prima, durante e dopo.

Un derby uguale diverso, una partita che vede cambiare anche l'insegna del teatro nel quale viene giocato: non più lo Stadium, con la sua onomastica latina, ma il teutonico Allianz secondo bisogno di cassa. Prevedo, comunque, fermenti e polemiche, uso e abuso del Var che non ha padroni e accontenta il popolo. O no?

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