È che lo doveva fare. Doveva inventarsi qualcosa per dire al mondo ehilà gente guardate che ci sono. E l'ha fatto. Si è inventato le sgommate fumanti davanti al pubblico e la scenetta meravigliosa del pilota in ginocchio che venera la macchina-Dio. Lo doveva fare perché sono quattro anni che Vettel vince e non esiste. Pilota invisibile. Come fosse finto, virtuale, digitale, per cui troppo perfetto per essere reale. Gli succede così da sempre. Sebastian fa un giro di pista dedicato ai giovani di belle speranze, è il 2006, la F1 pare ancora sport con un barlume di serietà e ai giovani di belle speranze concede la platea del venerdì di Gp per mettersi in mostra assieme ai titolari. Seb ha solo 19 anni e fa record di pista e batte Schumi suo idolo e maestro. Ma in fondo non è vero. È una favola, è irreale, è un'idea, un bel videogioco. Seb in fondo non esiste. Infatti poco dopo la Bmw se lo prende e però se lo farà anche scappare. Quasi non ne percepisse la grandezza presente e futura.
Il concetto astratto Vettel ieri ha vinto il quarto titolo di fila e a soli 26 anni ha affiancato sul podio della storia, stesso gradino, quello più alto, i signori Juan Manuel Fangio e Michael Schumacher. Gli unici ad essere riusciti a vincere quattro mondiali consecutivamente. Uno aveva 45 anni, l'altro 32. Al confronto dei vecchi. Fateci caso. Vettel che non esiste ha avuto bisogno di raggiungere un simile primato e l'annesso corollario di 43 pole e 36 vittorie e inventarsi uno splendido show tagliato il traguardo per cominciare ad essere veramente considerato. È così. Nel calcio ci sono stati Pelé e Maradona e ora c'è Messi che fa incetta di Palloni d'oro. Anche Vettel ha fatto incetta di palloni d'oro, anzi, ne ha conquistati di più perché gli appuntamenti mondiali lui mica li sbaglia. Ma Lionel esiste per tutti, Seb per alcuni. Invece Schumi prima di lui? No, esisteva per tutti, era concreto, reale, vero, era un grande reso grandissimo non solo dai risultati, ma dalla Ferrari che da bisognosa di successi si era trasformata in una macchina da guerra. E Senna prima di Michael? Pure lui. Concreto, reale, vero, un grandissimo la cui immagine è stata inevitabilmente nobilitata e santificata dalla tragica scomparsa. E Piquet prima di Ayrton? Anche lui campione in carne ed ossa e in più con ampie dosi di simpatia tutt'altro che virtuale. E tre titoli conquistati lottando contro gente vera: non Grosjean e Gutierrez, ma i Mansell, i Villeneuve padre, i Reutemann, i Jones, i Rosberg padre. E Lauda prima di Nelson? Concretissimo, uomo nei fatti e nelle parole, uomo pane al pane e vino al vino. Concreto persino nella sofferenza e nelle ferite portate come stigmate del motorismo. E avanti così con Hunt, con Stewart e con i Clark e i Surtess fino a lui, l'immenso Fangio. Concreta e monumentale icona della F1 più bella e pericolosa e meno vista nel mondo per cui più mitizzata di sempre.
Eppure, con ieri, a 26 anni, Vettel pilota invisibile si è messo in tasca tutti quanti. Con i successi, con il poker iridato, con lo show inaspettato. Era stanco di essere dimenticato dopo i brindisi. Perché si parla di lui quando trionfa e poi lo si archivia con la leggerezza della bibita per cui corre. Follia. Ingiustizia. Tanto più che Seb è veramente fortissimo. Probabilmente è un Senna, è un Lauda prima maniera, forse più di Lauda. E allora perché gli tocca pagare questo ingiusto dazio? Colpa soprattutto di questa Formula uno. Uno sport non più sport che ieri l'ha persino multato per lo show dopo il traguardo. Colpa di mondiali che non emozionano. E infatti: prima di lui, nelle ultime stagioni, avevano vinto Button ed Hamilton. E neppure ce li ricordiamo. Prima ancora Raikkonen il cui titolo rammentiamo solo per la militanza ferrarista. Ecco, forse si salvano i due campionati di Alonso con la Renault, 2005 e 2006, essendo gli ultimi prima della deriva artificiale della F1 e i primi del dopo Era-Schumi. E non a caso un po' tutti guardano ad Alonso come al grande e autorevole talento del Circus odierno. Ma non è vero. È più forte Seb. Però in quelle stagioni lontane Fernando vinse imprimendosi in tutti noi con l'autorevolezza frutto del rispetto che si portava a quella F1. Uno sport di cavalieri del rischio. Solo che se poi i nostri cavalieri li fanno entrare nel circo, gli impongono di calzare al posto degli stivali delle ciabatte di gomma che si sciolgono col timer, gli mettono in mano al posto degli scudi delle ali mobili e in testa dei walkie talkie per farsi dire non più due cose ma tutto proprio tutto quel che devono fare dai laureati del politecnico seduti al muretto, diamine è dura davvero diventare dei miti...Il pubblico non è scemo. Per questo ha difficoltà nell'innalzare là dove merita Seb Vettel che davvero è un grande pilota. Grande nella velocità, nella visione della gara, grande nel passo, nel ritmo, nell'accarezzare le gomme.
Ma dato che anche Seb non è scemo, sa benissimo che ha un solo modo per uscire dall'invisibilità. Andare alla Ferrari. Quel giorno diventerà reale per tutti. Ma la F1 sarà purtroppo ancora quella brutta e finta di oggi. E la Rossa la sua foglia di fico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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