Vince il Brasile dei campioni Kakà al verde, Costa è d'oro

Quando i sogni finiscono all'alba significa che ti sei svegliato male o vivi un incubo. E il Milan si è svegliato male, poi è riuscito a infilarsi nell'incubo. Milan qualità oro, avranno pensato i fantasiosi inventori di maglie da marketing. Ma poi il marketing non fa i gol, l'oro diventa color patacca e il club, ex più titolato al mondo, scomparirà dalla Champions per almeno un anno e mezzo. Se il Milan è davvero una squadra da Champions dovrà attendere un bel po' per dimostralo ancora. Intanto sarebbe meglio cercare i champions, intesi come campioni. Ieri sera nel calderone del Calderon c'era di tutto per esaltarsi nel clima di antica battaglia, quella che il Milan ha saputo assaporare tante volte con l'animo del Diavolo e il talento della qualità oro.
Ma se poi non hai il bimbo d'oro sono guai. Kakà ci ha riprovato, lui che è stato un calciatore d'oro. Balotelli ancora una volta ha perso il treno, l'autobus, il biglietto e poco importa che in garage abbia auto veloci per giocarsela da bulletto fuori campo. Quando va sul verde prato traduce l'impossibilità di essere campione, piuttosto un lumacone, arranca e litiga, sbaglia e sfarfalleggia. Già, poi azzecca un pallone e quello si traduce nella giocata d'autore del Ricardo. Sarà stata l'aria di Madrid, e forse della Champions, se il Ricardino ha ripercorso antiche strade, è arrivato con la capoccia giusta sul cross di Poli, si è mangiato un'altra occasione, ha giocato come sanno i campioni e non sanno i bambini dalla frignata facile?
Calcio che non si smentisce, cerca i campioni e li chiama all'appello. Ieri si sono presentati due brasiliani, neppure questo fosse l'anno calcistico dei verde-oro: Kakà si è fermato al verde, l'altro si è preso anche l'oro. Il brasiliano acquisito al regno di Spagna e quello reintegrato nel cuore d'Italia. Si è esaltato Diego Costa nello stadio delle sue brame, con uno spettacolare volteggio da ginnasta senza cavallo ma capace di evitare un bisonte (Rami). Ed infine con la rete che fa quaterna. Si è preso la scena il Ricardino con quel suo volteggio da ballerino calcistico fatto di leggerezza ed intuito. Però, al tirar delle somme, il pallone si è preso le sue rivincite sulle sgrammaticature del Milan e sulle paure dei ragazzi materassi (italianismo di Colchoneros). Kakà ha ritrovato il gol a Madrid, dove ne aveva fatti 29 ma con la maglia della squadra regina della città. Diego Costa, invece, ha ricordato la felice dinastia di attaccanti che hanno vestito la maglia dell'Atletico: da Futre a Torres, Forlan, Aguero e Falcao. Non ce n'è uno che non sia stato grande, con diversificate fortune. Sarà l'aria del Calderone che spinge i suoi eroi e respinge gli invasori.
Ieri sera ha bollito il Milan, che pure ha provato a battere e sbattere prima di sentirsi bruciato per la Champions e cucinato a puntino. Lo dicevano la tradizione e le statistiche che sarebbe stata dura. Ora Simeone ha un ruolino di 4 vittorie su 4 con le italiane, e il patentino da ex Inter quest'anno pare giocargli a favore anche nelle idee del destino. Il Milan è dietro ai cugini ed è finito steso dal cuginastro. Con le spagnole ha infilato una serie di disastri e di sberloni da far venire la depressione: dal 2010 ad oggi 14 sfide ed una sola vittoria, in Champions siamo a 5 eliminazioni di fila.
Ma questa non è più la squadra degli invincibili e neppure degli irriducibili.

È il Diavolo legato a Balotelli, si specchia nelle sue lune, nelle miserie e nelle sue pochezze che quasi mai si traducono in bellezza pedatoria: da una parte c'è l'incompiuta, dall'altra una decadenza calcistica. Si fa presto a dire Campioni che poi si confonde con Champions. Kakà ha provato a farcelo capire. Balotelli continua a rimandarci al tempo che sarà. O forse non sarà mai.

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