Un anno fa Matteo Berrettini era seduto nel parco del Foro Italico e guardava il futuro: superato un periodo di tormenti a causa di un infortunio al ginocchio, cominciava a far vedere lampi del suo talento. Aveva perso lottando contro Zverev, e diceva: «Non si sorride mai di una partita persa, ma ci sono sconfitte e sconfitte. E si può solo imparare». Un anno dopo Matteo Berrettini affronta Roma (ieri l'esordio con vittoria, 6-2, 6-4 al francese Pouille) con un altro curriculum: a 23 anni ha appena vinto il suo secondo torneo Atp a Budapest ed è arrivato in finale a Monaco la settimana dopo. E il tutto lo ha fatto salire fino al numero 31 del mondo. Quello che non è cambiato è quello che dicono di lui: il bravo ragazzo di sempre con un coach che sa di avere per le mani un vero diamante del tennis. «Matteo è curioso, attento e ha sempre voglia di apprendere qualcosa di nuovo - racconta sempre Vincenzo Santopadre - Da ogni situazione ne esce ancora più forte».
Insomma Matteo, ti aspettavi di arrivare a Roma così un anno dopo?
«In realtà no. Però confesso: lo desideravo tanto».
Ci sono sconfitte e sconfitte ancora oggi?
«Sì, certo. E molto spesso sono più utili di certe vittorie, bisogna saperle prendere per il verso giusto».
Qual è la cosa migliore che ti è capitata in questi 12 mesi?
«Se devo dirne una, è aver raggiunto la consapevolezza di che cos'è la mia vita. Di essere diventato indipendente»
E c'è una cosa peggiore?
«Lo sport ad alto livello ha il rovescio della medaglia: la mie giornate sono molto diverse da quella dei miei coetanei. A volte ti capita di voler desiderare una vita più normale».
Di quella fatta di Futures e Challenger, cosa è rimasto?
«L'insegnamento che nessuno ti regala nulla e ogni match va lottato. Ad ogni livello».
E visto che c'è sempre al tuo fianco Vincenzo Santopadre, come lo racconteresti a chi non lo conosce?
«È forse la persona più solare che abbia mai conosciuto. Ha la capacità di vedere sempre il lato bello delle cose e in ogni situazione. Vincenzo è molto empatico: capisce le persone come pochi altri».
Capisce molto Berrettini e di te dice sempre cose molto belle. Ma vi capita di litigare?
«Magari sembra incredibile, eppure non succede. Ma è soprattutto per come è fatto lui».
Come ha saputo tirare fuori il meglio di te?
«Mi ha trasmesso la passione per il tennis. E la sua grande qualità è mi avermi spinto a trovare la mia strada senza forzarmi mai a fare nulla».
In cosa ti senti migliorato, un anno dopo?
«Tecnicamente sul rovescio. E fisicamente sono più forte».
Cosa ti manca ancora?
«Sento che devo ancora migliorare in particolare sugli spostamenti. E sulla risposta».
A Monaco hai sfiorato il successo, ma hai dovuto giocare semifinale e finale nello stesso giorno.
«Questo è il tennis. Per arrivare in alto bisogna adattarsi a situazioni sempre più complesse. Fa parte per processo di apprendimento. La prossima volta saprò farmi trovare sempre pronto. Sicuro».
A Roma saresti contento se...?
«Se il pubblico gridasse il mio nome mentre esco dal campo, indipendentemente che abbia vinto o perso».
E dopo Roma c'è Parigi: ti senti pronto per il salto definitivo anche negli Slam?
«Il livello c'è, credo che sia solo una questione di esperienza. Non ci si può allenare a giocare i match dello Slam: vanno giocati e basta».
Pensiamo in grande allora...
«Cioè?»
Arrivi in finale al Roland Garros: meglio contro Federer, Nadal o Djokovic?
«Uhm Domanda di riserva?».
Questa: Fognini re di Montecarlo, tu che vinci Budapest, le Atp Finals assegnate a Torino, Roma che piace a tutti i tennisti del mondo e ritrova Federer, Cecchinato nei top 20, talenti come Sonego e Sinner dietro di voi: il futuro del tennis maschile italiano?
«Beh, positivo direi. E sono convinto che i risultati sul campo siano frutto di una sana competizione interna. E poi c'è qualcosa in più».
Ovvero?
«Che siamo tutti ragazzi con sani principi. Con questo gruppo il tennis italiano è al sicuro».
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