Alla stregua degli altri slam, il torneo di Wimbledon ha annunciato un aumento clamoroso del prize money portandolo da 19 a 26,5 milioni di euro: oltre il 40% nel giro di un anno a dispetto della crisi economica che non risparmia neanche l'Inghilterra. È l'incremento più importante nella storia ultracentenaria del tennis. In euro una cifra superiore ai 24 milioni messi sul piatto dall'Australian Open (erano 20,5 nel 2012), ai 25 dello Us Open (19,5 un anno fa) e ai 22 annunciati la scorsa settimana dal Roland Garros (contro i 18,7 del 2012). I vincitori del singolare maschile e di quello femminile, non c'è distinzione dal 2007, intascheranno un assegno di un milione e 600mila sterline, pari a un milione e 870mila euro. Ancora maggiori, in percentuale, i benefici di coloro che saranno sconfitti nelle qualificazioni (+41%) e nel primo turno (+60% con un bonus di 27.650 euro). Per i tornei di doppio la crescita si attesterà attorno al 22%. È quanto avevano chiesto i giocatori e le giocatrici di seconda e terza schiera che, subito sconfitti, non riuscivano a pareggiare le spese di viaggio e d'albergo per sé, il coach, l'allenatore, il fisioterapista. La rivendicazione non è quindi partita dai grandi del circus che, fra premi e sponsor, non hanno problemi, ma dai colleghi che faticano ad emergere. Decisivo l'appoggio di Federer e Djokovic. Ma non si pensava che Wimbledon riuscisse a mettere assieme un budget così oneroso.
Richard Lewis, ad dello slam inglese, ha ragionato in modo opposto a quello dei governanti che riducono i consumi e alzano le tasse: «In questi casi, se non investi, corri il rischio di finire in una spirale verso il basso e di scontentare i tennisti. Proprio quello che volevamo evitare. I giocatori devono avere la percezione che Wimbledon è un evento fantastico per tradizione, ma anche per il trattamento loro riservato. Siamo consapevoli di cosa sta accadendo in Gran Bretagna, ma se non imboccavamo questa strada, avremmo corso il rischio di minare il successo dei campionati». A sua volta Philip Brook, presidente dell'All England Cup, ha sottolineato che la scelta non è legata alle pressioni dei giocatori, ma ad aspetti strategici.
C'è da chiedersi allora da dove arriva tutto questo denaro. Dalla vendita dei biglietti e dalla straordinaria risposta dei 13 partner commerciali (fra i più famosi Rolex, IBM, Slazenger, Ralph Lauren e l'italiana Lavazza). Poi dalla corporate hospitality e dai contratti tv, in primis quello con la BBC che di anno in anno migliora la qualità tecnologica della produzione.
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