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Spunta «don Bancomat» Nel forziere del prete fondi neri per un milione

INDAGATO Il religioso all’imprenditore: «Cosa ti serve? Io qui ho 10mila, poi li porto in Africa»

Massimo Malpica

RomaNon c’è più religione. Dopo il corista nigeriano che cantava al Vaticano quando non procacciava ragazzetti da far prostituire, salta fuori «don Bancomat», così soprannominato dagli inquirenti perché «custode» del tesoro di Diego Anemone. Nella cassaforte del religioso i carabinieri hanno trovato e sequestrato quasi un milione di euro tra contanti e assegni circolari. Una parte dei «fondi neri» di Anemone.
L’uomo in questione è don Evaldo Biasini, sacerdote ciociaro di 83 anni, economo provinciale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Quello già noto alle cronache perché proprio a lui Anemone si rivolge prima di un incontro con Bertolaso, secondo gli inquirenti per ottenere un po’ di contanti. L’ipotesi che il capo della Protezione civile possa aver intascato mazzette è, allo stato, non dimostrata. Il ruolo di don Evaldo come «cassa continua» a disposizione di Anemone, invece, per gli inquirenti è certo. E testimonia un meccanismo che Anemone avrebbe messo in piedi non solo con il religioso, ma anche con funzionari dello Stato e politici. Ai quali puntano ora gli accertamenti dei magistrati fiorentini, convinti che molti di questi erano in debito con lo spregiudicato imprenditore romano. Socio, in alcune di queste operazioni, con Mauro Della Giovampaola. In un caso, infatti, il dirigente della Ferratella (che con la moglie di Anemone era socio nella Medea consulenze) avrebbe subappaltato fittiziamente i lavori a una società, la cui titolare è una donna a cui sono intestati assegni ritrovati dai carabinieri.
Il «sistema» ricostruito dagli investigatori è a grandi linee lo stesso per tutti. Il benefit che Anemone ne ricavava invece cambia. Con don Evaldo era la disponibilità di denaro contante. Con altri l’impegno a garantire appalti, lavori e favori. Il «modello» di riferimento per le indagini, al momento, è appunto il rapporto tra l’imprenditore ora in carcere e il religioso, indagato. Anemone si era occupato di lavori edili riguardanti costruzioni di proprietà della congregazione e di altri enti religiosi. Ma non sempre si faceva pagare, guadagnando invece un’apertura di credito con l’economo in clergyman. A cui si rivolgeva poi ogni volta che gli serviva contante senza lasciar traccia nel circuito bancario. E ogni volta che voleva un custode discreto per contanti e assegni da «depositare». Ogni prelievo, da scalare dai lavori o come restituzione delle somme in custodia, veniva annotato sui libri contabili del prete, che ne avrebbe fatto gentile e forzato omaggio agli inquirenti. Il sistema con funzionari e politici, secondo le toghe fiorentine, sarebbe simile: Anemone «regala» lavori, ristrutturazioni e altre prestazioni. Come contropartita, i beneficiari pagano importi minimi (per i quali Anemone o società a lui collegate emettono regolari fatture) o addirittura nulla. Impegnandosi a «ricambiare il favore» a saldo dei lavori in un secondo momento. Come? Con appalti milionari, aiuti per licenze, corsie preferenziali in ministeri e uffici.
Con don Evaldo le prime risultanze investigative rivelano l’esistenza di questo «sistema». La prima evidenza nasce il 16 giugno 2008, in seguito a una richiesta di soldi che Francesco Piscicelli fa ad Anemone. Il quale prende tempo: «Dammi un quarto d'ora che ti richiamo». Quando lo fa, scrive il Ros, «gli fa allusivamente intendere che solo per il giovedì successivo è in grado di consegnargli 10.000 euro». La «fonte» del denaro, spiega Anemone, è «quel ragazzo ... quel prete lì quel giovane missionario». Anche se don Evaldo è classe ’27, i carabinieri annotano: «Il giovane missionario, a cui Diego Anemone fa riferimento, potrebbe essere don Evaldo Biasini a cui, almeno in un’altra occasione (il 21 settembre 2008) lo stesso Anemone chiederà denaro in contante per sue impellenti esigenze».
Proprio alla vigilia di quella richiesta certa, il 20 settembre, Anemone chiama il sacerdote che non risponde. Ma l’intercettazione capta le chiacchiere in attesa della risposta tra l’imprenditore e la moglie. «Lui te li dà per quale motivo?», chiede la donna. «Gli ho fatto i lavori... poi io c’ho il conto, ci sta il conto là eh... no ma io devo scalare i miei soldi di lavoro». Il primo riscontro alla teoria del «prete-bancomat». La mattina dopo, infatti, don Evaldo risponde. E alla richiesta di soldi di Anemone («senti Don Eva' scusa se ti scoccio (...) ... solo per rotture di coglioni (...) tu come stai messo?», che la procura connette con il successivo appuntamento dell’imprenditore con Bertolaso, don Evaldo si fa trovare pronto, e consegna 50mila euro: «Di soldi? Qui ad Albano ce n’ho 10 soltanto (...) giù a Roma potrei darteli (...) debbo poi portarli in Africa». E il giorno successivo è già operativo: «Ti sto aspettando da stamattina (...) quanto ti serve (...) dimmi tu perché le vado a prendere». Qualche giorno prima, il 9 settembre, da una chiacchiera tra don Evaldo e l’amico Diego arriva la conferma che c’era già stato un «prelievo»: «Senti Diego, se tu sei d’accordo quei 40 non me li ridare, ma io li metto come acconto dei lavori, va bene?». A «Diego» va bene: «Magari! Sei un angelo...», risponde. Poi fa cenno a una macchina che ha «prestato» al prete. Don Evaldo la trova un po’ scomoda. La vorrebbe automatica.

Anemone si offre di cambiargliela, e gli chiede: «Che macchina ti vuoi fare?». Il sacerdote ha una sola raccomandazione: «Non lo so, tipo la Stilo, una cosa di questo genere, una macchina Fiat, non Bmw perché dà troppo all’occhio». Questione di immagine.

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