Ferruccio Repetti
Succede così, in tutti i porti che si rispettano: la nave attracca, sbarca le merci varie o i contenitori che in parte vengono dirottati al distripark (la piattaforma logistica avanzata) e in parte trasferiti, in fretta, su altre navi in partenza; una porzione residua, il minimo indispensabile, rimane parcheggiata in attesa di smistamento. Infine si caricano i convogli - trasporto su gomma o, preferibilmente, su rotaia - per il recapito della merce alla destinazione finale. E si chiude il ciclo, e ne comincia subito un altro, senza soluzione di continuità. Logico che, per garantire il regolare andamento delle operazioni - senza quei tempi morti che, sotto tutte le latitudini, sono lincubo degli operatori dello shipping - è indispensabile che lo scalo sia dotato di spazi e infrastrutture, complementari a qualunque velleitario patrimonio di tradizioni o di posizione geografica, caratteristiche che da sole non basterebbero a convincere una linea di traffico a scegliere dove «scalare». Ecco perché da un secolo e cinque anni esatti a Genova si continua a parlare di linea ferroviaria di Terzo Valico. Ma senza costruirla. Ecco perché da qualche decennio a Genova si continua a parlare di distripark. Ma senza realizzarne uno adeguato. Ecco perché si parla anche tanto, ma senza fine, di nodo autostradale, di gronda di levante e di ponente, per smistare il traffico di tir che, in mancanza di una linea ferroviaria dedicata e delle «autostrade del mare», sono gli unici mezzi in uso per trasportare merci in arrivo e in partenza, col risultato di intasare regolarmente il ponente cittadino, i varchi portuali, i caselli autostradali. Le soluzioni praticate fino ad oggi dai decisori sono state una formidabile quantità di convegni. Che hanno scoperto, riscoperto, sviscerato, confermato, dibattuto, dissertato, promosso e mugugnato sul bisogno di infrastrutture e sul fulgido avvenire che attende il porto di Genova in conseguenza dellinvasione delle merci asiatiche nel Mediterraneo. Ecco perché, se arrivassero sulle banchine della Lanterna solo 100mila container in più, in un anno, rispetto al milione e mezzo che arriva adesso, non si saprebbe come smistarli.
Ecco perché - almeno, crediamo - ieri è stata lanciata unaltra proposta intelligente, di quelle che è proibito contestare se si vogliono risolvere i problemi di sviluppo dei traffici: occorre - hanno sentenziato gli esperti di Siti, listituto superiore sistemi territoriali per l'innovazione - trasformare lo scalo genovese in porta logistica collegandolo a unarea oltre Appennino, in provincia di Alessandria, attraverso un tunnel dedicato al solo traffico di container e percorso da treni speciali completamente automatizzati. Lobiettivo è accattivante: decuplicare la potenzialità delle banchine a Voltri, ridare competitività internazionale allo scalo decongestionando il traffico nell'area di Genova e risolvendo l'eterno problema della carenza di spazi. Ideato da Siti con la collaborazione di un trust di teste duovo, un gruppo di operatori e terminalisti genovesi e la banca San Paolo Imi, lo studio di fattibilità è stato presentato nella sede di Confindustria Genova. Con unanalisi ineccepibile: la crescente diffusione di navi portacontainer sempre più grandi (oltre 7500 teus, lunità di misura convenzionale che corrisponde al container da venti piedi) significa che nel breve-medio termine l'interscambio di merce varia nel mondo sarà imperniato su porti ad alto fondale, con spazi retroportuali moderni e adeguati per dimensione e struttura logistica, e di elevata capacità di traffico. Genova dispone di appena 184 ettari per i contenitori. Rischia a breve-medio termine di confermarsi un polo marginale. A Voltri si può realizzare un terminal in grado di servire contemporaneamente almeno 10 navi di grosse dimensioni. L'intervento sarebbe complementare al Terzo Valico e si inserirebbe anche, secondo quanto affermato dal presidente dell'Autorità portuale Giovanni Novi, nel progetto di ridisegno del waterfront elaborato da Renzo Piano.
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