Squalificata l’Olimpiade ammessi i superdopati

Chi non punisce il male, pensava Leonardo da Vinci, comanda che si faccia. Molti hanno pensato proprio così quando ieri il tribunale per l’arbitrato sportivo con sede a Losanna (Tas) ha sconfessato il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) accogliendo il ricorso della federazione atletica statunitense e del campione olimpico dei 400 LaShawn Merritt contro l’esclusione dai prossimi giochi olimpici di atleti che hanno subito una squalifica superiore ai 6 mesi per infrazione al regolamento antidoping. Merritt era stato sospeso due anni per essere stato trovato positivo allo steroide Dhea che si trovava in un prodotto che l’atleta considerava lecito e che serviva a migliorare la sua virilità. Usato a sua insaputa. Lo dicono quasi tutti.
Il tribunale di Losanna ha stabilito che una squalifica oltre i 6 mesi, se scontata, non giustifica l’esclusione dalle Olimpiadi successive al termine della sanzione. Nella casa del Cio è crollato tutto dopo questa decisione quando ormai ci si era convinti che per combattere il doping era necessaria la tolleranza zero. La decisione per escludere i «peccatori» era stata presa nel giugno del 2008 quando era stato inserito nella carta olimpica l’articolo 45, noto anche come regola di Osaka, che vietava la partecipazione alle Olimpiadi dei super dopati dai Giochi del 2010 a Vancouver. Il cavillo per smantellare questa regola lo ha trovato l’avvocato Howard Jacobs, legale di Merritt, secondo cui l’articolo 45 era diventato una sanzione disciplinare più che una regola di eleggibilità.
Il CIO, prendendo atto della decisione, dichiarando di volerla rispettare, ha espresso nel suo comunicato anche delusione e sorpresa, preparandosi a continuare la lotta al doping anche dopo questa sentenza che in pratica riapre le porte delle Olimpiadi di Londra 2012, e Sochi, giochi invernali del 2014, a decine di atleti come la tedesca Pechstein, plurimedagliata del pattinaggio veloce nel 2009, sospesa 2 anni per doping, ma ora rieleggibile se davvero volesse cercare un posto nella squadra di ciclismo l’anno prossimo. Nel ciclismo anche David Millar potrebbe essere riammesso, anche se la federazione italiana, attraverso il suo presidente Di Rocco, ha confermato che i super squalificati non troveranno mai un posto nelle squadre azzurre, anche se per le Olimpiadi a decidere gli iscritti è il Coni. «Noi - ha detto Di Rocco - continueremo a non convocarli e se ci saranno ricorsi li affronteremo. Sul piano giuridico le sentenze vanno rispettate, ma noi avevamo fatto un salto di qualità per una maggiore credibilità del sistema ciclismo».
La riammissione di Merrit, già rivisto in pista ai mondiali di atletica di quest’estate a Daegu, in Corea, argento dei 400 e oro nella staffetta, riapre il contenzioso sulla indipendenza dello sport dai tribunali ordinari che non hanno certo la stessa rapidità di quelli sportivi, con il pericolo che poi siano gli avvocati a decidere calendari, partecipazioni e non le regole liberamente sottoscritte dai vari tesserati come accadde nel caso Bosman, come avviene adesso nel calcio dopo la sentenza del tribunale civile del cantone svizzero di Vaud che ha dato ragione al Sion e torto all’Uefa accusandola di aver preso sanzioni gravemente inique e fatte per rappresaglia nei confronti del presidente Costantin che nell’ultimo mercato aveva assunto 6 nuovi giocatori, nonostante il divieto ad entrare per due anni nel mercato dopo aver indotto il portiere egiziano El Hadari a rescindere il suo contratto con l’Al Ahli nel 2008. Ora l’Uefa dovrà versare 34mila franchi svizzeri al Sion, pagare le spese legali (21.400), versando mille franchi di multa al giorno sul ritardo dell’esecuzione che riammetterebbe la squadra svizzera nell’Europa League, nel girone I dove c’è anche l’Udinese e il Celtic Glasgow che aveva avuto le vittorie a tavolino proprio contro il Sion.
Un po’ quello che è accaduto, ma qui il ritardo era stato dell’alta corte di giustizia del Coni, nel basket dove la riammissione della Reyer Venezia alla A1 ha costretto la Lega a rifare calendari anche prima del ciclone mediatico Bryant.
Dai giorni cupi del caso Ben Johnson a Seul questa battaglia al doping divide lo stesso mondo dello sport che sa benissimo di essere sempre in ritardo con chi ti offre di vendere l’anima per poter andare più forte, per poter guadagnare sempre di più. La regola che escludeva dalle Olimpiadi, il teatro sportivo più ambito, serviva da deterrente, ma, come si è visto era lesiva del diritto individuale secondo i giudici di Losanna. La verità è che i veri primatisti sono quelli che inventano l’intruglio e poi trovano anche la scappatoia legale. Lo sport che ha combattuto per anni, fra tante ipocrisie, per evitare le ingerenze della grande politica, ora si trova in una strada senza uscita per proteggere i suoi vivai e i suoi protagonisti. La giustizia rapida, il regolamento privato non reggono più.

Essere leali, rispettare le regole, questo dipende da chi inizia una attività sportiva, ma purtroppo quando il fiore cresce arrivano i pesticidi di chi vorrebbero che tu fossi il fiore più profumato e duraturo anche andando contro le leggi della natura, prima che di quelle di uno statuto federale.

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