la stanza di Mario CerviAnche un laico può apprezzare gli insegnamenti della Chiesa

Caro dottor Cervi, nella sua risposta al lettore Monteverdi del 17 novembre riguardante lo stile e gli appelli di papa Francesco, lei dice che ha dato nuovo slancio alla grande lezione della Chiesa. E aggiunge: «lo scrivo da non credente, rispettosissimo tuttavia dei valori che la religione dei padri ha rappresentato e che ci ha tramandato». Mi pare di rilevare nelle sue parole un conflitto concettuale che la pregherei di chiarire. Se lei non è credente (come chi le scrive), quelli che ci sono stati tramandati non possiamo considerarli «valori», bensì soltanto favole, leggende che hanno avuto origine in tempi remoti per ignoranza, superstizione, paure ancestrali, faciloneria. Quanto alla «grande lezione della Chiesa», non posso fare a meno di pensare alle performances di Alessandro VI, alla strage degli Ugonotti, ai roghi delle streghe, all'Inquisizione, a Giordano Bruno, alle guerre di religione (Crociate), al processo a Galilei, alle campagne belliche di Giulio II. E, per rifarsi a tempi più vicini a noi, altre piacevolezze come il rapimento di Edgardo Mortara (Pio IX). Ci sarebbero poi da considerare le prodezze dell'Istituto per le opere di religione e varie altre cosette.
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Caro Ferrara, per essermi dichiarato non credente ma rispettosissimo dei valori religiosi ho ricevuto lettere di dissenso e lettere di consenso. Tra le tante ho scelto la sua perché mi rimprovera con chiarezza una contraddizione. Credo che il rimprovero sia infondato. È vero che non accetto precetti e dogmi dalla Chiesa ritenuti verità assolute - tanto per fare un esempio il dogma dell'infallibilità papale - ed è altrettanto vero che durante molti secoli si è preteso di giustificare, nel nome di Dio, imperdonabili nequizie. Ma da questo all'affermare che tutto nell'insegnamento venuto dai pulpiti è favola e leggenda dovute a paure primitive corre una distanza incolmabile.

Non credo che i dieci comandamenti siano slogan di tipo pubblicitario, né che gli appelli alla pace e alla bontà, benché raramente onorati, siano stati e siano soltanto ipocrisia. Possono suonare astratti e utopistici. Ma hanno un forte accento di verità, soprattutto se vengono da un Papa che usa le parole e il linguaggio di Francesco.

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