la stanza di Mario CerviNoi italiani ricordiamo bene i diritti e dimentichiamo i doveri

Caro Dr. Cervi, da sempre liberale, ho avuto una vita politica che non mi ha mai gratificato, quindi piuttosto travagliata, come può ben capire. Come mai? La risposta mi conduce al ricordo del nostro grande Montanelli il quale, rispondendo a un lettore, citò Kipling per riassumere il carattere dei maggiori popoli europei in modo che a me sembra perfetto. «Un inglese? Un imbecille. Due inglesi? Due imbecilli. Tre inglesi? Un popolo». «Un italiano? Un bel tipo. Due italiani? Un litigio. Tre italiani? Tre partiti politici». E via... illustrando! Ma è la sintesi amara, e anche pericolosa, della nostra storia politica. Non resta che recitare il mea culpa. Non c'è scampo, non crede?
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Caro Giusti, la battuta citata da Montanelli fa il paio con un elenco, che ricordo solo per l'inizio, delle cose peggiori del mondo. Cuoco inglese, sergente tedesco, amante turco, alleato italiano. Siamo soggetti alla denigrazione e propensi all'autodenigrazione. Montanelli sapeva quanto siano arbitrarie le generalizzazioni, ma amava sintetizzare le qualità e i difetti d'ogni popolo. Diceva ad esempio che gli inglesi e i giapponesi si sono date regole di comportamento rigidissime perché, essendo di loro natura crudeli, senza quei vincoli si abbandonerebbero ad efferatezze anche peggiori di quelle in cui sono storicamente incorsi. Quando discutevamo di queste cose eravamo d'accordo, Indro e io, nel ritenere che, per una serie di vicende susseguitesi nei secoli, a molti italiani faccia difetto un quid di senso civico, ossia la consapevolezza d'appartenere a una collettività e di avere dei doveri, oltre che dei diritti.

Forse questa, più della frammentazione politica e dei litigi, è la zavorra nazionale, un lascito che viene dalla fonda notte dei tempi e per il quale sarebbe ingiusto che noi, ultimi venuti, recitassimo il mea culpa. Se ci sia o no scampo io non lo so. So soltanto che dobbiamo darci da fare come se ci fosse.

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