Le star «indignados» scambiano le proteste per il tappeto rosso

Le star «indignados» scambiano le proteste per il tappeto rosso

Non hanno bisogno di notorietà, certo. E sicuramente sono spinti da sinceri afflati di partecipazione sociale. Tuttavia se il grande schermo tarda a proporgli ruoli di «indignados» in servizio permanente effettivo, ecco che gli uomini dello spettacolo globalizzato scendono direttamente in campo per interpretare il loro personaggio preferito «di lotta e di (non) governo». Teorizzando che arte e vita pari sono.
C’è chi lo fa coerentemente da una vita come Susan Sarandon, la quale ai giovani manifestanti di Wall Street l’altro giorno ha elargito i tipici consigli da genitore che la sa lunga: «Essere contro Wall Street non è semplice, c’è tanto in gioco. Se riuscite a trovare qualcosa di positivo, allora diventerà una critica costruttiva. Per esempio una riforma del sistema finanziario. Qualcosa che i politici potrebbero mettere in atto».
E curiosamente il «no alla dittatura della finanza» arriva anche dal romano Teatro Valle, occupato dallo scorso giugno, che ormai in fatto di proclami non nasconde di volare molto alto, esclusa la sintassi: «Ci siamo posti l’obiettivo ambizioso di affrontare la crisi finanziaria e culturale della nostra società attraverso la riappropriazione dei tempi necessari per una riflessione seria e un confronto reale».
In prima fila uno dei nostri attori più impegnati («militanti», si diceva un tempo), Elio Germano, colui che dal palco del festival di Cannes 2010 ha dedicato il premio ricevuto come miglior attore per La nostra vita «agli italiani che fanno di tutto per rendere l’Italia un Paese migliore nonostante la loro classe dirigente». Concetto replicato qualche ora fa: «Vogliamo porre l’attenzione sul fatto che a tutti i livelli subiamo le scelte della politica che a sua volta subisce quelle della finanza. Il risultato è che i nostri teatri, come le università, gli ospedali, sono spesso governati da incompetenti che non hanno come obiettivo il bene comune».
Tra un set e l’altro l’attore ha trascorso gran parte della sua estate in uno dei più prestigiosi teatri italiani che, dopo la chiusura del ministeriale Ente Teatrale Italiano, è passato in gestione a Roma Capitale. L’esperimento dell’occupazione, sempre in bilico tra velleitarismo e proposta artistica, è diventato così nei mesi una vera e propria patata bollente per il sindaco Gianni Alemanno. Anche perché il Valle Occupato (maiuscole messe dai manifestanti) ha ospitato una formidabile passerella di artisti con, tra gli altri, Jovanotti, Isabella Ferrari, Valerio Mastandrea, Vinicio Marchioni, Silvio Orlando.
Nessuno di loro però è riuscito a essere lirico come il regista Michael Moore che, sognante tra i manifestanti della Grande Mela, ha scritto: «In quella piazza ho visto i giovani. Ho visto gli anziani. Ho visto la gente di tutti i tipi e di tutti i colori e di ogni religione». Certo gli americani, come sempre, sono imbattibili. E così tra il «cinguettio» dell’attore Alec Baldwin che sulla sua pagina Twitter ha postato un video della protesta sul ponte di Brooklyn con i poliziotti armati di spray urticanti e un’apparizione del collega Mark Ruffalo insieme a registi redivivi, come il mitico Jonas Mekas, si fa strada Sean Penn che è entrato nella parte del cineasta militante come se fosse in un film.
Così, oltre agli interventi umanitari ad Haiti con Charlie Sheen, l’abbiamo appena visto in zone altrettanto calde tra gli insorti egiziani con bandiera nazionale in pugno lanciare l’appello «alla libertà della rivoluzione coraggiosa dell’Egitto» confidando in un rapido «passaggio di potere dai militari al popolo».

Mentre si è scoperto a sorpresa che ha contribuito, facendo pressioni sul presidente venezuelano Chavez molto vicino ad Ahmadinejad, alla risoluzione della vicenda dei due turisti americani accusati di spionaggio e liberati pochi giorni fa, dopo due anni di detenzione, dal governo iraniano.
Insomma, questi sono esempi di una micidiale politica reale, che porta a risultati concreti, altro che la italica «fantasia al potere» che si risolve in tanti manifesti poetici senza avanzare proposte costruttive.

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